Katarzyna Bonda, Ognuno è carnefice

DI MARIO MESSINA

Katarzyna Bonda,
Ognuno è carnefice.
Piemme edizioni

Di Katarzyna Bonda questo non è il primo libro che leggo.
Ho deciso, infatti, di cimentarmi nella lettura di questo testo dopo aver già letto il suo “Non esistono buone intenzioni”.
Il fatto che sia considerata la “Jo Nesbo dell’ Est Europa” mi ha indotto a concederle “un appello” dopo le perplessità suscitate dalla prima lettura.

E, benché sia trascorso un pò di tempo tra i due testi, ho potuto agevolmente ritrovare delle costanti nella costruzione della storia.
Che erano quelle che più mi avevano lasciato perplesso.
Protagonista di questo noir è sempre la profiler Sasza Załuska, chiamata a collaborare con la polizia per la soluzione di un nuovo caso.

C’ è, infatti, per le strade di Łodz, un piromane all’opera.
Da profiler specializzata il compito che le viene affidato è ricostruirne l’identità e comprenderne il movente.
Lei ha <<qualcosa che non possiedono in molti, e che tanti hanno perso. Talento e fegato. Onestà e tenacia (pag.101)>>.
Fin qui, pertanto, la scrittrice sembrerebbe muoversi lungo un percorso “classico” per il genere.
A questo punto, però, il discorso va molto articolato avendo come riferimento l’ immagine di una bilancia che si deve decidere su quale lato far pendere.

“Il piatto delle perplessità”, per non dire dei contro, cui si accennava in apertura, consiste nel fatto che, anche in questo caso, la protagonista è attorniata da una miriade di altri soggetti che popolano la vicenda.
Dato il cospicuo numero ed, in alcuni casi, la marginalità, con loro non si riesce a costruire un legame, ad empatizzare.
Si genera solo confusione.
E non è solo una questione di impronunciabilità dei nomi.
La questione è ben più definita e si tratta, sinteticamente, della capacità di seguirne le biografie e le vicende.

Di contro, il libro compie una operazione mirabile perché si pone come ode ad una città e alla sua storia inserendosi in un filone ben più nobile che va da “I fratelli Ashkenazi” di Singer (nella mia pagina già recensito) al capolavoro cinematografico “la terra della grande promessa” di Wajda.
Tutto il testo è, infatti, imperniato di note storiche che lasciano intendere perché Łodz è “la città degli incendi”.
Sin dell’Ottocento questo agglomerato urbano si è configurato come “la Manchester della mitteleuropa” per la sua fiorente industria tessile.

Per cui se il libro di Singer ne mostra la genesi, il film di Wajda ci illustra come gli imprenditori ricorressero di sovente agli incendi dolosi o per “eliminare la concorrenza” o per ripianare i debiti incassando i premi assicurativi.
Il testo della Bonda si pone, così, idealmente, come una sorta di terzo capitolo all’ interno di questo filone inserendo di frequente utili ed interessanti informazioni storiche.

<<A Łodz gli incendi dolosi sono una tradizione fin dal diciannovesimo secolo. Per gli industriali era un modo per salvarsi dalla bancarotta, oggi per gli immobiliaristi è un modo per liberarsi degli inquilini indesiderati. […] a Łodz è così che rivitalizzano la città. Non c’è settimana che non crolli il palazzo o non appicchino il fuoco in qualche soffitta (pag. 118)>>, tanto per fare un esempio.
Ora, data questa articolata premessa, qualcuno mi chiederà un giudizio netto. Beh, ad onor del vero, non mi sento di esprimerlo.

Questa bilancia penderà da un lato o dall’ altro sulla base di valutazioni prettamente soggettive. Dall’ interesse che maggiormente si può avere per l’ iter investigativo piuttosto che per le note storiche.
Di certo questo testo mi ha permesso di riequilibrare una opinione che, alla luce del primo titolo citato, non era delle migliori

Immagine tratta dal web

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