La calle Ormachea ed il ricordo di quella strada polverosa

DI ORNELLA SUCCO

La calle Ormachea nel quartiere di Obrajes a La Paz
Il quartiere di Obrajes, deriva il proprio nome dall’insediamento in quell’area di numerose manifatture artigiane dove, fin dalla metà del XVI secolo, si producevano tessuti, articoli di falegnameria, argenteria, ceramiche e utensilerie per tutta la regione di La Paz.

Data la sua posizione a sud del centro cittadino di La Paz e un’altitudine moderata compresa tra i 3.200 e i 3.390 metri s.l.d.m. , ha sempre avuto una vocazione diciamo così “residenziale” ed oggi il suo aspetto è contrassegnato dalla presenza di molti edifici moderni, vere e proprie torri ad uso abitativo o commerciale.

Nei miei ricordi però il quartiere di Obrajes conserva l’aspetto di una periferia discreta e silenziosa costellata di residenze ispirate in parte allo stile neocoloniale e in parte a quello eclettico collocate per lo più lungo l’avenida Hector Ormachea che io e Massimo percorremmo ogni giorno nell’agosto del 1986 per recarci dalla casa delle suore salesiane dove alloggiavamo fino all’ hogar “Virgen de Fatima” dov’era ospitata la nostra piccola Miriam, in attesa che il Tribunale dei Minori decretasse definitivamente sulla nostra domanda di “arrogacion” ovvero di adozione definitiva del minore.

La strada, come ho già detto, era silenziosa, lontana dal traffico convulso della vicina avenida Hernando Siles e noi la percorrevamo talvolta da soli e altre volte in compagnia della signora Jeanette, la giovane moglie dell’avvocato al quale avevamo affidato la procura della nostra pratica presso il Tribunale.

Tutti i marciapiedi erano puliti e tenuti in ordine, così come i giardini della piazza 16 de julio di fronte alla chiesa di Nostro Signore dell’Esaltazione ma, proseguendo verso l’istituto dove si trovava Miriam era impossibile non notare una certa aria di decadenza complessiva del quartiere, edifici apparentemente disabitati e altri in cui l’unico segno di vita erano due o tre piccole botteghe di generi alimentari che parevano uscite direttamente da una pellicola del neorealismo sui primi anni del dopoguerra.

Persone per strada ne incontravamo pochissime, qualche volta passava uno di quei camion che raccoglievano uomini e donne vestiti con l’abbigliamento tradizionale delle popolazioni andine e che, a quanto ci dissero, sostituivano una inesistente rete di trasporto locale.

Eppure quella strada, che pareva essere arrivata lì da una specie di varco spazio temporale tra gli anni ’40 e gli anni ’80 del Novecento, fu il tratto di cammino più bello che io avessi mai percorso in vita mia il pomeriggio in cui la direttrice dell’Istituto ci disse che era arrivata l’autorizzazione del Tribunale e potevamo portare Miriam con noi anche subito.

Massimo, da solo, ripercorse in tutta fretta la calle Ormachea, tornò con il baby pullman bianco che avevamo acquistato in Italia prima di partire e finalmente ci avviammo per l’ultima volta lungo quella strada silenziosa fermandoci più e più volte a contemplare il viso di nostra figlia che guardava intorno, curiosa, il nuovo mondo che si apriva ai suoi occhi dopo gli otto mesi trascorsi in Istituto.

Miriam è ritornata a La Paz in viaggio di nozze nel 2017 e ci ha portato molte fotografie di quei luoghi così come sono oggi, sicuramente più moderni, meglio serviti e anche più in linea con lo stile di vita di questo 21° secolo.

A me tuttavia resta il rimpianto di un momento unico della nostra vita legato per sempre alle immagini di una strada polverosa e silenziosa lungo la quale si era compiuto il mio più grande desiderio.

©® Copyright tutte le fotografie contenute in questo articolo sono state scattate da Ornella Succo

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