La difficoltà di interpretare sé stesso, semplicemente Alessio Vassallo

DI GINO MORABITO

Non dirà mai di no a Vigata e in quel commissariato gli è svoltata la carriera. Non ha mai rincorso la fama e cerca di non ripetersi, di crescere, osare. Da Mimì Augello ne Il giovane Montalbano a La concessione del telefono, da I Borgia a I Medici passando per Le indagini di Lolita Lobosco e Sopravvissuti. L’indiscusso talento di chi sa scomparire nei personaggi e la reale difficoltà di interpretare sé stesso. Semplicemente Alessio Vassallo.

Tra teatro, musica e letteratura si dipana la stagione estiva del Biondo di Palermo diretto da Pamela Villoresi, nell’incantevole scenario di Villa Tasca. Ha per titolo Parole al vento e prenderà il via il 27 giugno (replica il 28) con Marcovaldo di Italo Calvino. Nel centenario della nascita, l’omaggio al grande scrittore italiano attraverso la prosa raffinata di una favola lieve e pungente allo stesso tempo, che contrappone il candore del protagonista al grigiore della società dei consumi.

Una rivoluzione culturale nei confronti della natura.

«Marcovaldo è l’ultimo eroe rimasto che continua a combattere fino allo stremo delle forze contro il consumismo dilagante che ha ormai conquistato la nostra vita. Il suo personaggio si discosta da tutto ciò che è virtuale prediligendo invece il contatto diretto con l’ambiente che lo circonda e provando emozione per i più piccoli dettagli del quotidiano. Sono nato nell’83 e faccio parte di quella generazione dove si aveva un rapporto sincero con la natura. Mi ricordo che giocavo buttato per terra e mi bastavano delle foglie, alcuni rametti e le lucertole che avvistavo, per crearmi dei mondi fantastici.»

Oggi invece il mondo si percepisce attraverso un clic. È tutto molto veloce, le immagini si contrappongono ai sensi sempre più assopiti.

«Se fino a qualche anno fa abbiamo assistito a una cementificazione selvaggia, oggi viviamo immersi in un mondo fatto di immagini virtuali, di luoghi che non andiamo più a scoprire di persona ma restando comodamente seduti sul divano di casa. Stiamo edificando una società dove fruiamo le esperienze fatte da altri attraverso il display dei nostri smartphone. Una realtà iperrealistica, certo, ma tutt’altro che autentica.»

Spesso le esperienze più vivide sono quelle che abbiamo raccontato a qualcuno. Con le parole si pensa, si gode, si cresce, si viaggia nei luoghi e nel tempo.

«Le parole hanno la forza di trasportarci nel tempo futuro e in quello passato. Sono le note dei nostri ricordi che prendono forma. L’importante è che siano sempre collegate a un pensiero, un ragionamento, se no si rischia che diventino parole al vento.»

Alcune si rivestono di un significato particolare che le rende indelebili nella memoria. Come accademia e mensa.

«Da inguaribile nostalgico torno con la memoria al primo periodo dell’accademia d’arte drammatica a Roma. Sono anni che rievocano l’odore della mensa, dove si mangiava abbastanza male ma per me era qualcosa di gustosissimo perché strettamente collegato al luogo in cui ambivo andare.»

Talvolta ci si imbatte nell’espressione “grazie”.

«Un grazie va soprattutto a me stesso, per quella determinazione a lunga scadenza che mi ha fatto andare avanti. Poi sicuramente alle persone che amo, i miei genitori e la mia compagna, che mi hanno sempre supportato e sopportato.»

Croce e delizia di una terra che è madre e matrigna.

«La Sicilia mi ha dato la vita, scorre nel Dna di un palermitano. Per contro, mi ha privato della possibilità di realizzarmi dove sono nato, costringendomi ad andare fuori e non permettendomi di vivere la quotidianità dei rapporti familiari. E non riesco a perdonarglielo.»

Uno dei figli più illustri di Sicilia è Andrea Camilleri.

«Per me rappresenta qualcosa che va oltre il lavoro. Sono stato fortunato ad avere l’opportunità di dare voce ai suoi personaggi. È indubbiamente uno dei più grandi scrittori del Novecento e ci siamo ritrovati più volte. Il nostro rapporto è nato quando cominciai a girare Il giovane Montalbano. Ricordo che ci venne a trovare al commissariato di Vigata e fu una benedizione incontrarlo.»

Il teatro, il cinema, la televisione alimentano una popolarità in forte ascesa, che non rincorre il facile successo.

«Il successo credo che sia la conseguenza del mio lavoro. Certo, mi fa piacere, ma non l’ho mai rincorso. Anzi ho rifiutato ripetutamente le proposte che avrebbero potuto darmi una visibilità immediata, trovando quel tipo di successo spicciolo alquanto deprimente.»

Dall’invenzione letteraria alla realtà della finzione scenica il passo è breve. La vera difficoltà risiede nell’interpretare sé stessi.

«Ho sempre avuto l’esigenza di celarmi dietro dei personaggi, indossare una maschera e nascondermi. Quello dell’attore è un mestiere molto delicato perché, passando da un ruolo all’altro e affrontando delle esistenze meravigliose, spesso ti dimentichi di avere una vita privata. Col tempo, davanti allo specchio sto cominciando a scorgere finalmente Alessio e ad avere anche un rapporto più sereno con me stesso. O almeno ci provo.»

 

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