La rielaborazione del lutto è una partita che si gioca da soli

DI CLAUDIA ARU

Oggi ripenso a tutte quelle volte che ho detto a qualcuno che aveva perso un genitore che “capivo il loro dolore” perché ho detto una balla clamorosa: non è vero.
Il dolore per il lutto altrui, non lo si capisce mai.
Dietro il dolore per la perdita di un pilastro come un padre, ci sono infinite reazioni a catena a volte prevedibili e a volte assolutamente inaspettate e sono tutte soggettive, mai uguali. Si devono rielaborare gli irrisolti, isolare il buono e dimenticare l’amaro.

Ed è molto faticoso.
Si oscilla tra momenti in cui realizzi l’inevitabile e sembra che te ne faccia una ragione ad altri in cui il senso di angoscia, paura, instabilità e vuoto, sembra prendere totalmente il sopravvento.
E ogni giorno è una scommessa, come starò domani?
Poi ci sono i vivi, quelli che restano, che hanno il diritto di esasperarsi come ritengono giusto e a volte volergli stare accanto, è solo l’egoismo di volerli vicino a noi per appagare uno strano senso di colpa sfocato che non sai perché, cos’è… ma c’è.
Ho capito che il dolore lo si deve affrontare e attraversare come un tunnel buio, pericolante, con terribili rumori e una paura folle.
E lo devi fare da solo.
Perché è importante avere delle persone accanto, è fondamentale la compagnia di chi amiamo, ma questa è una partita che si gioca da soli.
Perché è da soli che si nasce, si muore e si risorge.
E allora io ho deciso che ci entro in questo maledetto tunnel perché la luce è alla fine del percorso, ma se continuo a guardarlo da lontano, la luce non la vedrò mai.
Perché la vita è questa roba qui.
Mi metto in cammino.
*Immagine pixabay

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