Le donne non sono oggetti compensativi

DI MARIA RONCA

Nonostante tutto
Eravamo lì in piazza il 24, il 25 e anche oggi 26 novembre continueremo, perché tutta Italia dice basta non si può insanguinare le nostre fragili vite e abituarsi alla violenza.

Si sfila lungo le vie della città, c’è chi guarda, chi critica e chi è indifferente.
Ed è proprio chi resta indifferente che mi fa pensare, ci provo a mettermi nei loro panni e a chiedermi come si fa a non partecipare, a non coinvolgersi, a non sentire il bisogno di di cambiare qualcosa nei modi e nelle visioni? Siamo abbrutiti o cosa?

Siamo incapaci di empatia o la violenza pensiamo non ci riguardi affatto e che siamo indenni?
Non so voi ma a me spaventa e dice tante verità e conferme.
Esprimo tutta la mia indignazione e la mia vicinanza a chi vive questi drammi a chi pensa che non gli riguardi di aprire il cuore e la mente in quanto la violenza esiste e negarla non fa che generare cecità, menefreghismo, indifferenza, distanze, vuoti, silenzi.

Il silenzio è stato per tanto tempo usato per permettere a tanti di essere violate e manipolate e di essere uccise. Nel frattempo, abbiamo coperto “i bravi ragazzi” e mandato all’altro mondo tante figli, tante madri, tante mogli, tante fidanzate.

Le donne non sono oggetti compensativi, orpelli, sguattere, “mamme bis”, sostitute e mantenute.
Riconoscere la violenza impedisce che vittime e carnefici possano perpetrare il meccanismo vizioso e iniziare un percorso, perché le dipendenze affettive non si curano dal fai da te e chi sta attorno deve prendere coscienza che la responsabilità, oltre che civile e penale è collettiva.

La rete familiare e istituzionale è importante dal punto di vista educativo e culturale. La formazione è cruciale altrimenti è un buco nell’acqua.

Maria Ronca
Sociologa, madre, figlia e moglie all’opera, rivoluzione culturale

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