L’importanza di saper stare insieme

DI MARINA AGOSTINACCHIO

È l’ oggi che dobbiamo affrontare, è l’ oggi più oscuro da cui dobbiamo affrancarci per raggiungere la sponda di un vivere più umano.
E l’oggi sono le guerre di cui sappiamo le narrazioni ma anche quelle di cui non sappiamo, o forse a cui giriamo gli occhi el e orecchie per comodo.

La storia non ci insegna nulla quando vi inseriamo noncuranti, alieni, ciechi, o come visitatori di altri mondi, le nostre microstorie.
Omicidi a parte, ragioniamo per segmenti di egoismo, di impulsività, di orgoglio e di superbia, rompendo la relazione con la parte di noi che ci elegge creatura pensante dell’ universo.

Almeno quella conosciuta e sondata dalla scienza.
Ogni accadimento viene intercettato dagli impulsi emotivi, psicologici, riflessivi solo alla fine di un percorso che ci vede protagonisti a metabolizzare fatti orrendi di cui non si macchia solo chi li compie ma anche l’intera comunità su cui la stessa macchia si allarga, ammantando tutto e tutti di un velo pesante di responsabilità.

Da ogni parte ci vengono dati suggerimenti su come mettere ” toppe” al guasto di una società in pericolo. Vengono pronunciate leggi, ordinanze, vengono promosse manifestazioni a sostegno dei più deboli, indifesi, umiliati, disumanizzati.
Certo è che respiriamo un’ aria infetta, incrociamo volti sempre più chiusi, poco disposti ad allargarsi in sorrisi e in atteggiamenti di fiducia verso l’altro.
” La mistica delle manette è solo un parlare d’ altro, serve ai miserabili trafficanti di paure e di rancori. Ma non serve a disarmare chi vendica la propria lesa virilità”, dice Niky Vendola.

Lesa virilità, lesa superiorità, leso potere, leso pensiero, leso “diritto”, lesa libertà individuale…
Potremmo proseguire, accampando cittadinanza di esistenza, di riconoscimento, personale, pubblico, territoriale, terrestre, universale.

Perché, ragionando in questo modo, vogliamo giustificazioni ad un pensiero unico che non dà conto di un pensiero alternativo, rispettoso, magari più umano.
Curare le nostre ferite personali e sociali credo si possa, tornando a porre al centro l’uomo, inteso come essere dotato di saggezza di mente e di cuore; donna e uomo che allargano il passo in un cammino comune, cittadino, territoriale, europeo, mondiale.

Il progetto di questo sentirsi parte di una comunità, dalla piccola alla grande, non è un’ utopia. Ciò richiede un’ educazione all’ appartenenza proprio quella che ci insegnano i maestri fino dalla scuola dell’ infanzia. Sapere stare insieme, convivere, dividere le ” cose” come le emozioni, i sentimenti belli, ma anche le paure e le insicurezze, valorizzando le potenzialità di ciascuno, educando all’ aiuto reciproco, e all’ idea che ci si salva uniti, non con l’ esercizio della competizione estremizzata, causa di danni, ad esempio, nel rapporto tra uomo e donna negli studi, nel lavoro, in famiglia, in ambiti sociali più allargati.

Negli ordini di scuola superiori all’ infanzia, sappiamo quanto sia difficile fare esprimere i ragazzi se li si tocca nelle corde del profondo disagio o semplicemente del sé.
Ma loro, i ragazzi, “ci sono”, se e quando sappiamo prenderli per mano, parlare, dialogare.
Sentivo a radio tre, alcuni giorni fa, una trasmissione che ricordava Kennedy e altri personaggi della storia, che venivano posti come figure di riferimento forti per intere generazioni.

Forse i nostri ragazzi hanno bisogno di figure vere, credibili, autorevoli e se oggi hanno perso l’ ago che orienta il passo, forse potremmo interrogarci sugli esempi offerti da pubblicità, sostenuti da potentati economici, di cui siamo responsabili noi stessi con la nostra acquiescenza.
Per un’ azione attiva e condivisa che ci coinvolga personalmente, potremmo pensare alle  comunità cittadine che svolgono azioni pregevoli attraverso, ad esempio, gli incontri di quartiere.

Ma quanti di noi partecipano?
Si preferisce, spesso, delegare e non fare sentire la voce della comunità che, seppure voce consultiva, non per questo incide con minor vigore di un atto decisionale preso da pochi, da quelli che abbiamo eletto.
Mi piace finire la digressione fin qui portata con il riferimento ad un film di alcuni anni fa, dal titolo” Gli ultimi saranno ultimi”, di Massimiliano Bruno.
Che sia auspicio di riflessione e di volontà di cambiamento!

Immagine tratta dal web

 

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