Luce, ciò che vedo, ciò che vorrei vedere ⋆ lo scrigno di pandora

DI MARIAESTER GRAZIANO

La luce è sopravvalutata. Quando c’è troppo sole non si distinguono i contorni. Per questo ho compagnie seleniche. Sono prive dei pregiudizi della veglia, mi tastano i polsi della paura, del desiderio e dell’orrore.

Molto più interessanti loro che lasciarsi interpretare dai ghiottoni delle nostre preoccupazioni diurne, delle nostre occhiaie, dei nostri piccoli tic su cui si depositano i residui dei doni notturni come dita delatrici di una marmellata rubata.

La mia è una luna a cui si allattano fantasmi troppo concreti. L’uomo è il residuo della loro esistenza. E’ la carcassa finale, una banale concrezione proteica di queste presenze. Fantasmi rocciosi che si accosciano sazi, levigati dalla lingua di luna.

Non si fidano delle mie ossa conciate da una pelle spiumata. Così poco concreta, poco stabile. La leggerezza può far male. Sono rinvigoriti, notte dopo notte, dal loro liturgico banchetto. Si addomesticano alla mia presenza.

I vivi sopravvivono, i fantasmi vivono per cotrappesso. Non so se siano ombre, morti, assenze scarlatte di fuoco abbandonato dai vivi, ma fanno compagnia più di quanto mi faccia la popolazione inamidata del sole. C’è una luce alcolica in agosto e mi ammalo nell’etilismo della visione.

Vedo una petroliera che vomita buio in una parte lontana del mondo. Le popolazioni offrono i capelli per mettere argine alla rovina. In Africa e tra gli Indiani di America i capelli sono l’anima. Danno letteralmente l’anima.

Vedo una donna che manifesta contro un dittatore in un’altra parte lontana del mondo. Succedono enormità di piccoli uomini. Succedono dall’altra parte del noi. Per questo il sole è un’aspirina da inghiottire perché ci tolga di dosso l’incubo della vulnerabilità.

Se impariamo bene l’effetto sedativo dello zapping e del liturgico “così va il mondo”, allora potremmo occultare in un sonno l’alopecia lunare che snuda fantasmi.