Mario Sironi, Periferia

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Mario Sironi è un personaggio preminente del Novecento, e ormai di comune accordo considerato di estremo interesse, nonostante alcune sue scelte, condizionate da un forte coinvolgimento politico abbiano provocato forti perplessità quando non direttamente aspre critiche.

Il suo percorso artistico attraversa un arco di tempo molto ampio, pur dopo un esordio difficile che lo induce, intorno al 1910, dopo alcuni esperimenti pittorici non proprio soddisfacenti e nonostante il rapporto di amicizia e collaborazione con Giacomo Balla, ad abbandonare tutto e trasferirsi a Milano.

È nel capoluogo lombardo che entra in contatto con gli appartenenti al movimento dei Futuristi, e nel 1914 riprende a dipingere, trovando un proprio percorso nell’indirizzo verso un’arte tendenzialmente monumentale in grado di coniugare i programmi culturali di Margherita Sarfatti, figura di riferimento dell’epoca, con i programmi politici del Fascismo.

Sironi, tuttavia, è opportuno precisarlo, non agisce secondo un discorso di interesse o di comodo; egli non è un calcolatore – figura tra i combattenti volontari della Grande Guerra – al contrario crede fermamente negli ideali del fascismo, tanto da arrivare a cimentarsi nell’arte murale in modo da raggiungere, attraverso la forza della sintesi, l’espressività dei contenuti.

Opere che non figureranno tra le sue migliori: indubbiamente di impatto, ma troppo connotate in senso vagamente retorico.
Anche nella restante produzione, comunque, l’artista sardo mantiene quella solida volumetria estrinsecantesi in una indiscussa pesantezza degli oggetti, ulteriormente accentuata da tini cromatici scuri in grado di attribuire ai contesti un’atmosfera decisamente ostile.

Del resto, considerando le palesi difficoltà economiche di una nazione come l’Italia, pesantemente provata dalla guerra e colpita dal dopoguerra, non è difficile comprendere i sentimenti di dramma e angoscia che un animo sensibile può lasciar trasparire in ambito artistico.

Quindi Sironi aderirà al Futurismo, per quanto il suo stile si manterrà fedele ad un’ottica personale; produce notevoli opere accostabili alla pittura metafisica, anche se molto poco somiglianti a quelle di De Chirico, che pur riproponendo le figure dei manichini, tanto care all’artista ispirato dalla città estense in cui trascorre un periodo proficuo della propria esistenza, le connota in senso davvero inquietante, tali da non poter essere riferite ad un ambito di fantasia, ma saldamente ancorate ad una realtà grigia ed angosciante.

Dal 1919 si dedica con successo ad una serie di dipinti, cui appartiene anche quello riportato, aventi ad oggetto i paesaggi urbani.
Si tratta dei dipinti più noti di Sironi, in cui l’estrema razionalità degli oggetti raffigurati, con l’evidente sproporzione di edifici e dettagli, assurge ad un inevitabile dramma.

L’utilizzo limitato delle tonalità dei colori, le angolature spigolose, il sotterraneo sentimento di oppressiva angoscia, esprimono una sintesi stilistica efficace e diretta, autenticamente scolpita nell’immaginario collettivo in una riuscita ed inusitata singolarità anticonformista.

Una curiosità: nel film Compagni di scuola, di Carlo Verdone, Christian De Sica/Ciardulli tenta di rifilare ad Angelo Bernabucci/Finocchiaro un quadro che qualifica come ‘un Sironi del periodo pessimista’.

Ovviamente si tratta di un falso, ma la scena è stata talmente apprezzata che, nel 2008, in occasione dei trent’anni dall’uscita della pellicola, quella stampa del falso Sironi, autografata dal regista, è stata messa all’asta per beneficenza…

Mario Sironi (1885-1961), Periferia, 1922
Immagine: web

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