Melania G. Mazzucco, L’architettrice

DI MARIO MESSINA

La nominazione delle professioni ha dato vita, di recente, ad un dibattito vivace ma, al tempo stesso, spesso vacuo e, a tratti, un po’ salottiero.

La parità lessicale di genere ha finito, così, per coinvolgere numerosi scrittori che si sono sentiti direttamente investiti da una missione parificatrice.

Parrebbe così legittimo pensare che l’uso, nel titolo, della parola “archittettrice” possa essere una diretta conseguenza di questo dibattito.

In realtà la lettura di questo testo sembrerebbe smentire questo presunto collegamento limitandosi, piuttosto, ad evocare l’assoluta novità rivestita dalla vocazione professionale della protagonista.

Plautilla Briccia, infatti, così come Ipazia o Artemisia Gentileschi nelle rispettive discipline, rappresentò, infatti, un vero e proprio tabù infranto: quello della prima donna “architettrice”.

La protagonista viene, così, perfettamente inserita dalla Mazzucco all’interno della laboriosa Roma del Seicento.
Un vero e proprio formicaio creativo in cui emergere risulta assai arduo. Perché è sicuramente, per un verso, l’epoca dei committenti.
Ma è soprattutto, dall’altro, l’era dei cortigiani.

Gli artisti a volersi affermare sono tanti e non tutti possono ambire a posizioni di rilievo.
A maggiore se a volerlo è una donna che ambisce a dischiudere nuovi orizzonti.
In questo difficile contesto un ruolo motivazionale di rilievo finisce per giocarlo il padre di Plautilla che, partendo dalla propria vicenda esistenziale, è ben conscio di cosa voglia dire inseguire una insopprimibile passione. Anche se a volerlo è una donna.

Perché, per citarlo, “con le cose nuove all’ inizio c’ è scandalo, poi fastidio, infine indifferenza”.
L’ architettura diventa così il modo per non “sparire”. I quadri, la pittura, sono si arte ma, nella loro natura devozionale, finiscono per assomigliarsi.

“Invece costruire un palazzo, un oratorio, una chiesa, significa cambiare il volto di una città. Appartenere ad essa. Per sempre”. Consegnandosi alla Storia.

La Roma barocca diviene, pertanto, la perfetta cornice di questa vicenda.
Emerge in tutto il suo splendore ed in tutte le sue contraddizioni.
Da un lato, paradiso degli artisti e dell’arte. Una vera e propria galleria d’arte avente per perimetro solo i vicoli della città.

Ma, al tempo stesso, dall’altro, brodo di coltura di ruffiani e cortigiani spregiudicati. Regno di clientes e baciapile.

Una città in cui i suoi abitanti “mugugnano e sfottono ma non si espongono. Aspettano solo che sia qualcun altro a disarcionare il cavaliere. E, solo dopo, amano infierire su chi è caduto”.
Parole che sembrano scritte per la Roma e l’Italia di oggi.

Immagine tratta dal web

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