Natale, poche parole

di Vincenzo Soddu

NATALE, POCHE PAROLE

Pochi minuti alle 12.00. Una pioggia sottile riprende a cadere in una giornata dove anche il tempo si alterna, isterico, in una città distratta dai primi acquisti, dalle mille scadenze.

Piazza del Carmine appare come sempre uguale a se stessa, il manto di foglie disteso sul marmo scivoloso, l’enorme macchina dell’Immacolata che risplende nel suo manto bianco. Ai suoi piedi un manipolo di uomini di colore che stazionano pigri e incuranti di tutto.

Attraverso con prudenza il tappeto di foglie e mi accorgo che sotto la statua un nero giace disteso, gli occhi chiusi, il respiro pesante, la bava dappertutto, una striscia di sangue oltre i capelli folti e scuri.

I segni di un’overdose, forse di fumo, forse un collasso e la caduta, proprio sullo spigolo dell’enorme basamento in marmo.

Mi fermo e mi accorgo che a pochi metri ci sono tre ragazzi, nordafricani, divisa inconfondibile, pusher che però paiono conoscerlo.
Mi rivolgo subito a loro, chiedo come si chiami il ragazzo a terra… “Cherif!”, fa il più chiaro dei tre, quasi minaccioso.
“Cherif… Cherif!”, grido, cercando di farlo reagire, lui apre gli occhi, mormora qualcosa e poi li richiude.
Bisogna chiamare un’ambulanza, faccio, e prendo il cellulare. Lo spacciatore dalla carnagione più chiara mi minaccia. “Fare noi, tu fermo!” Lo ignoro e continuo a digitare il numero. Attendo e nel mentre il terzo dei ragazzi si avvicina, mi prende il cellulare e chiude la chiamata.
“Cherif amico nostro, pensiamo noi!”

Mi volto, cerco aiuto, ma tutti passano senza far caso alla scena. Sono spettacoli normali penseranno.

Il chiaro, come a un tacito comando di quello che sembra il capo, corre a riempire una bottiglia d’acqua e la passa al più scuro, che la versa sul capo del ragazzo.

Cherif sembra aprire gli occhi, ora sente le mie parole, scuote la testa quando gli chiedo se ha mangiato.
“Lui non mangia mai… fuma solo, tanto…”, dice lo scuro, mentre il capo osserva sempre minaccioso.
“Voi siete pazzi”, urlo, “questo ha avuto un collasso, va curato.”
Lo scuro mi osserva e mi dice “tu bravo.”
“Ecco, allora fai qualcosa”, continuo.
Una ragazza si ferma. “Che merda di giornata”, sospira, e io penso che si riferisca al tempo. Invece prende il cellulare e compone il 118.
Il capo è preso di sorpresa, scappa via.
Il chiaro e lo scuro ci guardano, sembrano rassegnati, non scappano via.
“Voi bravi.”
“Cherif amico nostro.”
Sembra un monologo.

Intanto Cherif muove le mani, farfuglia qualcosa, mostra di aver recuperato, il chiaro e lo scuro lo fanno sedere, gli spazzolano la giacca, con affetto. Sembra che lo stiano preparando per una cerimonia.
Quando l’ambulanza si ferma, li osservo, quasi faccio segno d’andare via, ma loro rimangono.
“Voi bravi… Cherif amico nostro.”

Una fila rossa, fluorescente piomba su di noi, comincia a far domande, il chiaro e lo scuro non si muovono, chiedono alla ragazza con la tuta gialla, che sembra il capo, di portare via il loro amico per curarlo.
La coda rossa, fluorescente, scompare con la ragazza.
Rimango solo con loro due.
“Bravi”, gli dico.
“Quel fumo non è buono”, fanno, “è suo”, e indicano il capo, che è ancora fermo, dall’altra parte della piazza.

Il chiaro toglie dalla tasca le dosi rimaste e le butta per terra, nella macchia di pioggia che si sta formando veloce ai nostri piedi. Alza lo sguardo verso il capo, che va via, stavolta davvero.

Lo scuro mi stringe la spalla e poi lo segue, dalla parte opposta.
Passa un’auto, ha il volume al massimo, la canzone di Natale nell’aria.

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