Nina e l’amore della sua vita

DI FLORA CROSARA

Era una donnina minuta. Vestiva in modo curioso, alternativo per una persona di età avanzata come la sua. Lunghi abiti fiorati – di seta in estate e di leggera lana in inverno – indossati su larghi pantaloni a sbuffo in tinta unita, dal colore predominate ora rosso, ora celeste, ora giallo e talvolta arancione. Colori solari che mettevano allegria. Non indossava mai il nero perché – come era solita dire – era “troppo, troppo triste!”. Una fascia vivace, che richiamava il colore dell’abbigliamento, le tratteneva i lunghi capelli candidi, raccolti a crocchia, e il trucco leggero, immancabile, le coloriva il volto. Sulle labbra un rosso acceso, brillante, illuminava il suo sorriso, caratteristica che colpiva i clienti e non la faceva dimenticare più. La Nina! Ero una bambina quando la conobbi, accompagnando mia madre a fare acquisti; lei era una signora di mezza età che profumava di buono, di casa, di affetto. Il suo aspetto recente invece lo conservo negli occhi, avendo io praticato quel luogo per anni, fino a poco tempo fa. Non la posso scordare, soprattutto per l’amore e il rispetto che dimostrava di avere verso la sua bottega, verso la sua clientela, verso la gente. Nel presente la Nina la ricordo com’era: una donna di circa ottant’anni portati benissimo. Ogni mattina – da lunedì a sabato – per sessant’ anni ha sollevato la serranda della merceria, in centro città, sulla piazza principale sotto i portici. Il suo locale: un piccolo spazio dentro il quale lei teneva stipata la sua merce, ponendola in ordine e catalogandola per bene, nelle scatole e nei cassettini inseriti in un mobile incastrato nel muro. Quella cassettiera posizionata alle spalle del banchetto, dal pavimento al soffitto e tutt’intorno alle pareti, era lì da anni e aveva fatto un buon servizio. Lei la conservava come un gioiello.
L’avevano utilizzata sua nonna, poi sua madre e ora la usava lei che aveva continuato il lavoro di famiglia. Una lunga storia d’amore. In virtù di questo, il negozietto era il luogo che per Nina conteneva tutta la preziosità della sua vita e dunque lo custodiva con gran cura: bottoni colorati di ogni forma, dimensione, colore, materiale e uso, dentro le scatoline sul cui frontespizio la donnina aveva cucito personalmente il campione. Poi ancora: cerniere, aghi ditali, nastri, rotoli di leggero tulle e fili colorati per cucito vario… più molto altro! Insomma, tutto ciò che è possibile trovare in una merceria, di quelle che usavano una volta. Anche per questo mi piacevano, Nina e la sua bottega. Lei aveva saputo mantenere quel qualcosa di antico ed elegante che nei grandi negozi non si trova più. Il suo commerciare non parlava unicamente di vendite: in esso c’era l’amore verso le persone, il piacere di soddisfare una richiesta, la gioia e l’orgoglio che un suo bottone, una spilla, un nastro andassero a impreziosire gli abiti delle signore che le dimostravano fedeltà e cuore. Come non la si poteva amare, quella donnina? Un giorno di fine anno, entrata per un piccolo acquisto, la vidi seduta, triste in viso, con gli occhi arrossati e il fazzoletto in mano. Piangeva la Nina, lei sempre così sorridente ed entusiasta! Mi raccontò che una stupida legge, citata in una stupida lettera raccomandata arrivatale il giorno prima, la obbligava ad andare in pensione “per raggiunti limiti di età”. Avrebbe dovuto cedere la sua attività, venderla o restituire la licenza. Dal mese successivo non avrebbe più potuto lavorare nel suo negozio. Iniziò a parlare e, con voce rotta, a sfogare tutto il suo sgomento e la sua disperazione: “Questo negozio per me è molto di più di un lavoro! È una ricchezza non materiale ma morale e spirituale! Amo la gente che viene qui, mi piace accogliere, soddisfare ogni richiesta, ascoltare chi ha cura del proprio abbigliamento e cerca una soluzione a un piccolo problema per non buttare via un abito.
Dentro questo spazio ho trovato la mia realizzazione come donna, artigiana e commerciante. Per me, che non ho creato una mia famiglia, è stato il luogo dell’amore verso ciò che ho ricevuto in eredità, per ciò che ho rispettato e conservato negli anni, per quello che ho donato alla gente. Non ho forse offerto un buon servizio alla mia città? La bottega di Nina è conosciuta da tutti, entrare qui è come sentirsi un po’ a casa: per me e per voi è il luogo dell’incontro, del buongiorno, della chiacchiera tra amici!” Poi continuava: “Ma che disturbo può dare una persona della mia età, ancora sana e in grado di svolgere questo lavoro? Non sono diventata ricca, ho sempre pagato le tasse, ho tutto in regola!” La osservavo e non sapevo che cosa risponderle, come consolarla. Non vedevo solo un’anziana donna privata del suo bene, ma quasi un’istituzione di quella piazza, un pezzo storico di città! Cercai di consolarla con frasi che per lei non avevano alcun senso. Mi resi improvvisamente conto di che cosa rappresentasse quel luogo per Nina, e compresi la sua disperazione. Il mio pensiero si confermò quando lessi sul giornale locale che Nina – la sera successiva al nostro incontro – era stata trovata seduta al bancone, senza vita. Era vestita di nero, i capelli bianchi trattenuti da una fascia scura. La Nina ci aveva lasciati, vinta dalla forza del suo stesso Amore.

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(Immagine di Franco Brigo)

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