Oskar Kokoschka, Die Zeder

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

1958. La Tempesta, Alma Mahler, è ormai archiviata: lei è residente negli Stati Uniti, dove concluderà il suo percorso terreno qualche anno più tardi, non prima di aver segnato la vita di tutti coloro con i quali è venuta in contatto.

Tom Lehrer, il compositore americano, le dedicherà il brano Alma, a ricordo della sua travagliata vita sentimentale, punteggiata da un discreto carico di parentesi matrimoniali.
Vedova del drammaturgo Franz Werfel, in ordine di tempo suo ultimo coniuge, probabilmente già amante ai tempi del precedente con l’architetto Walter Gropius, autorevole co-fondatore del Bauhaus, nonché maestro indiscusso – anche se, come ama ricordare Alessandro Arcodia, è effettivamente piuttosto difficile incontrare maestri discussi! – del Movimento Moderno in architettura, assieme ad illustri colleghi del calibro di Frank Lloyd Wright e Le Corbusier, a sua volta conosciuto durante la celebre relazione col pittore Oskar Kokoschka.

Un rapporto, quello con l’artista austriaco, destinato ad incardinarsi nell’immaginario collettivo, tuttora ricordato, nonostante le successive, rispettive, vicissitudini sentimentali, come il fulcro portante di due vite ad esso riconducibili.

Kokoschka, il quale ha fama di un carattere schivo e riservato, forse proprio a causa di queste particolari caratteristiche si lascia letteralmente travolgere da una passione oggettuale.
La giovane vedova del compositore Gustav Mahler – quando lo incontra, Alma, ha già alle sue spalle un precedente rapporto coniugale – attorno alla cui vita ruotano gli incredibili personaggi della Vienna dell’epoca, non ultimi Sigmund Freud, padre della psicanalisi, e Gustav Klimt, elemento predominante delle Secessione Viennese, diventa immediatamente ciò che verrà puntualmente definito il sacro oggetto del desiderio del giovane pittore.

Il desiderio sconvolto di una relazione ossessiva, destinata a finire ancor prima di iniziare, ma non prima di aver graffiato l’anima di Kokoschka, il quale riuscirà a trarne un musico capolavoro ispirato da quell’incredibile obiettivo di brama personificato dalla donna.
Tempesta, infatti, poco incline a soggiacere alle estenuanti pretese di Kokoshka, pressanti e possessive, lo lascia al termine di due anni avulsi dalle restanti esistenze.

Un momento, quello della relazione tra Kokoschka e Alma, destinato a cristallizzarsi nell’immagine de La sposa del vento: mai altro titolo potrebbe essere più adatto a riassumere, condensandoli, sensazioni e sentimenti di una storia vissuta e finita ma destinata a rimanere eterna.

L’autore, come racconta lo scrittore catanese Conce G. Scardaci, non dipinge il quadro mentre la relazione è in corso, ma ne utilizza quanto difficilmente sarebbe corretto identificare come ricordo, poiché tale non è. È il nucleo fisicamente inteso di una storia finita ma non conclusa, colta nell’attimo sospeso del preludio ad una inevitabile fine.

Una fine che non conosce crisi propedeutiche o angosce preparatorie, ma semplicemente esiste dall’inizio nella consapevolezza degli animi dei protagonisti. Di entrambi i protagonisti.
Di Alma-Tempesta, che in ossequio ad una visione degna di Carducci, quietamente riposa appagata dalla propria furia; di Kokoschka, immobile e vegliante, gli occhi sbarrati a testimoniare l’intensa riflessione riguardo ad un epilogo già scritto.
Intorno, il freddo glaciale di una passione altra e altrove, che nettamente si distacca dai comuni fuoco e fiamme per incastonarsi nel tetro inganno di una imperturbabile fissità.

Ballo di morte, schiavitù spirituale, sono solo alcune delle espressioni che Kokoshka utilizzerà per spiegare ad Alma, suo oscuro anelito, i propri tormenti – Andrea Camilleri li riporterà, tramite la trascrizione di una lettera dell’artista, ne La creatura del desiderio – costruendo passo dopo passo il muro di una sofferenza, almeno inizialmente, destinata a soffocarlo.

Si dice addirittura che ci sia una bambola, un manichino riproducente le fattezze di Alma, ad assecondare la follia dell’artista, ormai totalmente inglobato da un perverso cerchio di compulsiva follia.

Eppure, trascorsi circa due anni, Kokoschka prende coscienza di un periodo finito: combatterà sul Fronte Orientale durante la Prima Guerra Mondiale – alcuni dicono nel tentativo di dimenticare Tempesta, con lo scopo, nemmeno troppo segreto, di porre in qualche modo termine alle sue sofferenze – dopodiché proseguirà una vita relativamente tranquilla di studio e insegnamento, che dal 1947, nel periodo del dopoguerra, si svolge pacifica in quel di Villeneuve, in Svizzera.

Nella tranquilla cittadina nei pressi delle Alpi svizzere, Kokoschka e la nuova compagna, Olda, edificano moralmente il proprio punto d’arrivo: quella Villa Delphi fiduciosamente acquistata, atta a definire un paesaggio che sarà definito ‘uno sfondo per l’ultimo terzo della vita dell’artista’.
È qui che Kokoshka dà vita al suo Zeder – Il Cedro – magnifico esempio di un’esistenza incisa e scalfita, tuttavia lungi dall’essere annichilita.

Non c’è riuscita nemmeno Alma, nonostante i tentativi di entrambi di eternarne il momento, riuscendo comunque a tramandarne il ricordo, di cui Oskar, fondamentalmente, non si libererà mai.
E il cedro si erge squassato, ma maestoso: imponente rispetto al minuscolo cottage, eppure sfiammerizzato da centinaia di picchi cromatici audaci e nervosi.
Sopravvissuto, in parte domato, mai abbattuto.

A tratti infiacchito e spossato, ma sempre mnemonicamente volto a resistere, nell’introspettiva prospettiva di un punto fermo da determinare al termine di un difficoltoso, finalmente raggiunto traguardo.

Zeder, forse non casualmente, è anche il titolo di una nota pellicola, del 1983, di Pupi Avati, alla cui sceneggiatura collaborano anche Antonio Avati, fratello del regista, e Maurizio Costanzo, incentrata su di un testo rimasto impresso sul vecchio nastro di una macchina da scrivere e venuto in possesso di un giornalista, il quale viene così a conoscenza di un certo Paolo Zeder, scienziato, dedito a ricerche e studi nel tentativo di riportare i morti in vita.

Le riprese del film, nonostante alcune iniziali panoramiche di Chartres, si svolsero in realtà tra Bologna, Milano Marittima e Cesenatico, con suggestivi richiami alla zona delle colonie abbandonate presente, negli anni Ottanta, a Miramare di Rimini, spettrale incubo dei ragazzi del luogo…

Oskar Kokoschka (1886-1980), Die Zeder, 1958, olio su tela, 81×113.5 cm., Collezione privata
Immagine: web

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