Quante volte è capitato anche a te

DI MARIAESTER GRAZIANO

C’erano le unghie spesse e smaltate in modo maldestro e uno strato giallognolo su tutto ciò che circondava la donna, di cui parlerò, come prodotto di un humus nicotinico addizionato ed accanito. Le dita e la sclera specialmente erano una specie di citazione alla mietitura di fine estate con quella tintura cromatica paglierina ancora più malinconica dei gialli autunnali.

Pensate a questa condizione cromatica, a come sembrasse già una fotografia del passato, anche se vivevamo nel presente, e in cui io capitavo con un mio frastuono di colori, pantaloncini fluo e fastidioso fermaglio rosso che continuava a scivolare dai capelli.
Vivevo, dunque, già nel ricordo tra posaceneri ossei e credenze indurite da bicchieri di vetro pesante.

C’era un forte odore di fumo e lacca. Capitava così che, certi slanci del sole all’interno della cucina, accendessero in un lucore mistico la sua chioma di un biondo sbiadito, scolpita in un semicerchio da abbondanti riserve di lacca. E l’effetto era ancora più opprimente perché la sua faccia, incurvata sempre dalla sigaretta trattenuta sulle labbra, avesse assorbito un calco di indelebile torvo accartocciamento.

Avevo, allora, la presunzione di credere che tutte le cucine dovessero odorare di sughi e brodi e vaniglie e tovaglie saponate da grossi tocchi di Marsiglia. La disillusione osmotica fu uno dei primi insegnamenti che la donna mi diede a livello allusivo.
La donna mi spiegò la sua vita brevemente in un momento di delirio pubblicitario di Smarties e Dixan in TV, favolosi come salvagenti incredibilmente arancioni in mezzo a un mare spento.

La sua voce non era mai stata indulgente né con sé né con gli altri. Per cui continuò il solitario fumando la sua Muratti e, senza cambiare tono, mi disse di passargli il posacenere, del marito morto ammazzato per uno scambio di persona mentre passava in mezzo a un comizio, di una figlia dispersa in un’alluvione, di come la ritrovò poi ma di non averla riconosciuta subito tanto le si era ammucchiata addosso una vecchiaia precoce in pochi giorni stravolgendone gli zigomi infantili, di cominciare a mischiare le carte.

Intanto guardavo un sorriso bianchissimo in TV di un ultimo spot prima di scivolare nel pianto a dirotto di Celeste, la cieca operata da un dottore bellissimo che si innamora di lei in 723 puntate di telenovela argentina.
Io mi ricordo quel sorriso.
Poi cominciai a mischiare le carte.

Mi rimase, forse, addosso l’intuizione che nel mondo esista una sorta di omeostasi degli umori. Se da una parte ci sono un mucchio di gioie, da qualche altra parte ci deve essere un contrappeso di dolori.
Così mi è ritornata questa cosa in testa quando ho visto pochi giorni fa la foto di un bambino che moriva di fame sotto un cartello di una Diet Cola.

Credo plausibile che possa capitare la stessa cosa anche nella vita di un singolo individuo, questa sorta di tremendo pareggio tra gioia e dolore.
Così è per questo che a volte gli anni ti accadono tutti in un giorno, in un solo momento di estreme coincidenze in cui sai esattamente quanto hai vissuto fino a quel momento. Compresi gli anni che devono ancora venire.

Ce l’hai già lì, tutti in una volta. Magari potresti accorgertene anche un poco dopo mentre stai già mischiando le carte per una nuova partita o stai capendo la tua faccia nello specchio.
Quante volte è capitato anche a te.

Immagine tratta da Pixabay

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