Scuola. Come cambia l’usura psicofisica dell’insegnante dalla didattica in presenza alla DAD

di Vittorio Lodolo D’Oria

Sembra essere finita la scuola che conosciamo da sempre: quella che promuove la socializzazione tra giovani, che abbatte i dislivelli sociali tra ragazzi avvalendosi della stessa aula, della stessa densità abitativa, degli stessi professori e – una volta – perfino della medesima uniforme.
Oggi irrompe a gamba tesa la DAD intrusiva che viola i domicili, spia i rumori, ruba le immagini di arredo, immortala i conviventi e talvolta crea imbarazzo a docenti e ragazzi. Come agisce sulla salute dei docenti? Prima di dare una risposta, dobbiamo comprendere la situazione di partenza.

La professione insegnante è ad alto rischio di usura psicofisica professionale per la particolare tipologia di rapporto con la medesima utenza di alunni (asimmetrica, intergenerazionale, assidua, protratta negli anni, ravvicinata, caratterizzata dal “fenomeno Dorian Gray al contrario”, minoritaria). A riprova dell’origine professionale di questa usura vi sono tre conferme macroscopiche: 1) anche negli altri Paesi occidentali gli insegnanti soffrono del medesimo logorio psichico; 2) l’incidenza delle patologie ansioso-depressive (più che doppia nelle donne rispetto agli uomini per questioni fisiologiche legate alla fertilità) si equivale sorprendentemente nei docenti maschi e femmine; 3) l’incidenza delle malattie psichiatriche nei diversi ordini d’insegnamento è della medesima entità.
Risulta inoltre acclarato, anche dagli studi scientifici pubblicati in Italia, che le diagnosi che determinano le inidoneità all’insegnamento sono di tipo psichiatrico nell’80% dei casi. Nessuno tuttavia sembra volerci fare caso, schiacciati come siamo – opinione pubblica e categoria professionale inclusa – dagli stereotipi sugli insegnanti. Gli stessi docenti poi non conoscono le patologie professionali che li insidiano perché sono pochissimi i dirigenti scolastici che effettuano la necessaria formazione e informazione previste per legge (DL 81/08).
Come se il quadro non fosse abbastanza desolante, ecco abbattersi sulla comunità intera la pandemia da virus Covid-19 che ci ha costretti a ricorrere alla didattica a distanza (DAD) poiché quella in presenza è ad alto rischio di contagio. La scuola ha chiuso le aule da febbraio 2019 ma, ancora a inizio settembre, imperava sovrana la confusione. Il dibattito, fin da subito, era stato incentrato unicamente sulle dimensioni delle aule, sui distanziamenti tra arredi prima e alunni poi, sui nuovi banchi singoli a rotelle, sulle mascherine, sulla misurazione della febbre a casa coi termometri digitali o a scuola coi termoscanner e via discorrendo. Degli insegnanti, come attori principali della scuola, fino a poco tempo fa, non v’era traccia nel dibattito, quasi fossero un’inutile appendice: semplicemente “non pervenuti”.
La pandemia ci ha riportato invece ai fondamentali che abbiamo completamente perso: l’architrave della scuola è costituita innanzitutto dal corpo docente e non da banchi, aule e persino alunni che pur ne sono parte integrante. La scuola è passaggio di sapere/conoscenza e il suo attore protagonista (ma forse dovremmo equipararlo più propriamente al regista) è l’insegnante. Nonostante ciò, ci si è accorti che gli insegnanti esistevano solo grazie all’individuazione della cosiddetta categoria dei “lavoratori fragili” over 55. Solamente allora si è compreso che, senza docenti, non si può fare scuola, anzi, la scuola senza di loro proprio non esiste.
Ad aggravare il quadro di quelli che ormai la gente considera i paria del pubblico impiego ecco intervenire il fattore anagrafico perché il nostro Paese vanta gli insegnanti più anziani, oltreché i peggio pagati, d’Europa. Ci si avvede quasi per caso che 400.000 docenti rientrano nella categoria di “lavoratori fragili” per il solo fattore anagrafico e allora ecco che per incanto vengono introdotti ulteriori condizioni per essere dichiarati “lavoratori fragili”: presenza di patologie croniche di tipo neoplastico, immunitario e cardiovascolare. E a prescindere dalle condizioni di salute restano forti le perplessità che il corpo docente esprime sulla DAD: “Esiste davvero la Didattica a Distanza”?
Non possiamo che cogliere una contraddizione in termini perché didattica è presenza, vicinanza, empatia, comunanza, condivisione, appartenenza, scambio e non distanza”.
Ma quale impatto ha avuto la DAD sul corpo docente più vecchio e malpagato d’Europa? Il ricorso a tecnologie informatiche ha costituito la prima difficoltà per una generazione poco smart abituata a carta, penna, registro e sussidiario. La preparazione online delle lezioni ha richiesto una moltiplicazione delle ore di lavoro accompagnate da preoccupazione, ansia e depressione anche per la difficoltà di percepire un feed-back dagli alunni non più diretto ma mediato da webcam spesso capricciose per la connessione ballerina.
La pandemia – non che ve ne fosse il bisogno – ha riportato all’attualità anche l’eterno incontro-scontro docente dirigente. Si moltiplicano pertanto docenti irrequieti e dirigenti destabilizzati, ambedue in preda all’ansia. La tentazione estemporanea di ciascun attore è quella di scaricare il problema sul vicino o sul subordinato, nell’inutile tentativo di sfuggire al rispettivo ruolo e responsabilità. Questa strategia, in realtà, non fa altro che esacerbare conflitti mai sopiti.
La soluzione al problema non consiste nel burocratizzare la questione moltiplicando circolari, ma condividendo le iniziative da intraprendere facendo maturare il consenso intorno ad esse. Creare un inventario delle risorse (ad esempio docenti giovani PC-friendly) può essere un utile spunto per aiutare i colleghi più anziani e in odore di pensione. Significativa a tal proposito la testimonianza di una docente che ammette: “Un grande aiuto lo trovo dai colleghi: ho la fortuna di avere un gruppo di 4-5 persone con cui posso scambiare idee, difficoltà, esperienze. Senza di loro mi sentirei ancora più sola, visto che ero abituata a passare un po’ di tempo ogni giorno in sala insegnanti, dove il dialogo era intenso e costante sia per la professione che per il morale”. È bene qui ricordare che la condivisione coi colleghi rientra, a buon diritto, tra le principali strategie adattive nei confronti dello Stress-Lavoro-Correlato.
Le difficoltà degli insegnanti col PC e i relativi sistemi informatici si ripercuotono inoltre sugli alunni cui si aggiungono la mancanza di compagnia e lo sfogo fisico limitato dagli “arresti domiciliari”. Assai efficace, se non alienante, la descrizione della giornata-tipo dell’insegnante alle prese con la DAD: “Sono passata dal brusio costante dei miei alunni, dalle chiacchiere con i colleghi davanti alla macchinetta del caffè, all’assidua frequentazione di PC, monitor e tastiera. Trascorro le mie giornate a svolgere videoconferenze, compilare il registro elettronico e i file che la preside ci invia, correggere compiti (anche fino alle 23), selezionare e poi seguire i webinar che case editrici ci propongono… E poi ancora cercare di rintracciare gli alunni “dispersi”, condividere i device con mio marito (anch’egli docente) e mia figlia che frequenta la quarta elementare. Arrivo alla sera stremata, con gli occhi gonfi, che mi bruciano e con un gran mal di testa misto alla sensazione di nausea e vertigini”.
Le reazioni dei docenti a siffatta quotidianità, in virtù dei soliti stereotipi sugli insegnanti (cui oggi si imputa anche il benefit del “non devono nemmeno scomodarsi per recarsi a scuola”), è caratterizzata da preoccupazioni incalzanti, ansie ingravescenti, depressione, anedonia, spossatezza e isolamento psichico con la speranza che tutto finisca presto e si torni subito alla normalità. Da ultimo una preziosa avvertenza che discende dall’esperienza dei tanti casi affrontati in 30 anni: venire fuori da una condizione di esaurimento psicofisico senza l’aiuto di chi ti sta vicino è una sfida molto spesso perdente. Ciò è particolarmente vero per gli insegnanti più fragili e anziani. Occorre pertanto sforzarsi di condividere le tante difficoltà coi colleghi e soprattutto è vietato fingere di star bene: chi dissimula soccombe.
Articolo tratto da “Gilda Professione Docente” di  Marzo 2021.

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