Stefano Di Battista, sotto il segno dell’hard bop

DI GINO MORABITO

Raffinato nel gusto per la canzone d’autore, alla continua ricerca di nuovi territori sonori, il percorso artistico di Stefano Di Battista è quantomeno eclettico.

Sassofonista italiano tra i più apprezzati sulla scena internazionale, noto anche al grande pubblico per le sue partecipazioni televisive, non ha mai abbandonato la strada maestra del jazz, percorrendola nel segno del più sanguigno hard bop.

Dagli spazi romani di Officina Pasolini, che ne ha ospitato l’intervento di presentazione, Fabrizio Finamore introduce e coordina gli artisti di Napoli nel cuore, la rassegna benefica dedicata alla cultura napoletana. Online le esibizioni che amalgamano il jazz alla tradizione classica partenopea, il cantautorato al ricordo dei grandi del passato, l’ironia al racconto, in nome della Napoli più vera. L’iniziativa è finalizzata a raccogliere fondi per la comunità di Sant’Egidio di Napoli. Le donazioni volontarie potranno essere effettuate in ogni momento tramite bonifico bancario (Comunità di Sant’Egidio ACAP Napoli onlus – IBAN IT82V0200803443000400482192 Causale: Napoli nel cuore) bollettino postale o Paypal direttamente a Sant’Egidio con la causale “Napoli nel cuore”.

L’ottava edizione dell’iniziativa, che vuole raccontare quell’universo sociale e culturale che Napoli ha espresso nella storia e che fa sì che alla cultura napoletana si rimanga profondamente, visceralmente legati, andrà in onda dal 28 novembre alle 20:30 sul sito ufficiale http://www.napoli-nel-cuore.it/. Al sax Stefano Di Battista.

Nicky Nicolai e il grande sassofonista Stefano Di Battista accompagnati da Daniele Sorrentino al piano e con un ospite a sorpresa, Alessandro Preziosi, sono protagonisti di Fenesta vascia, che si spalanca su “Napoli nel cuore”.

«Associo al jazz una parte fondamentale di Napoli. Napoli nel cuore è il sentimento forte che alberga in ognuno di noi; quella grande voglia di sentirci napoletani, ancor prima che italiani. A prescindere dall’appartenenza geografica.»

La città di Pino Daniele, Massimo Troisi, Diego Armando Maradona. Illuminanti esempi di ingegno.

«Ingegno è una parola che molto spesso viene usata da Erri De Luca, un figlio di Napoli. La necessaria capacità di ingegnarsi, sia negli assoli della musica improvvisata, sia in uno stile di vita in grado di trovare delle soluzioni creative per resistere e fare poesia… La poesia della pizza Margherita o di uno spaghetto con le vongole bagnato al pomodoro: una considerazione sulla bellezza della vita, in compagnia del Maestro Enrico Rava, contemplando un piatto fumante di spaghetti. Ecco, un apprezzamento del genere, per qualcosa di una semplicità così disarmante, può accadere solo a Napoli.»

Jazz come cibo per l’anima e il corpo. Al ristorante “Da Peppe a Tor Cervara” a Roma la gestione è capeggiata dal divo del sax in persona, che ha deciso di continuare sulla rotta paterna dell’eccellenza romana a ritmo di amatriciana e carbonara.

«Provengo da gente semplice, di grandi lavoratori, a cui devo molto della mia esistenza. Avendo promesso a mio padre, prima di morire, che avrei continuato la sua attività di ristorazione, mi sono ritrovato a organizzare del buon cibo associato alla musica: il massimo del godimento! La possibilità di ascoltare un musicista che non si esibisce su un palco alto tre metri, bensì fra la gente, quasi fosse uno dei commensali, è un grande privilegio. E poi il buon cibo è decisamente jazz.»

Si celebra lo stile hard bop, dietro cui si cela una filosofia folle, che oscilla tra la matematica e la voglia di volare. È una musica che ti prende e ci navighi dentro. Ma ci vuole una personalità particolare.

«Bisogna possedere una tecnica complessa e contemporaneamente dimenticarsi della tecnica. Quando Charlie Parker suonava, sembrava una casa che ti teneva al caldo. Con l’aggiunta di un fattore di rivalsa sociale.»

Il jazz è anche controsensi, pur essendo sincero, dove l’onestà intellettuale conta più dell’estetica. Ci sono anche gli errori, ma regalano il fascino. Basta sentire Coltrane.

«Il jazz è una musica che non si può spiegare. È una filosofia di vita, quella nota stonata che ti rende unico e irripetibile. Sono le note forti di John Coltrane, che fanno parte di un discorso ben più ampio di quell’assolo… Un jazz riconducibile solo ed esclusivamente a quella specifica personalità artistica. È qualcosa che va talmente oltre, da sovrastare il parametro di giudizio. E tu non puoi non amarlo.»

“L’unico fiato che ci vuole è quello della sincerità. Il resto lo fa la storia, ciò che racconti, nel momento in cui lo racconti.”

«Trovo che essere sinceri con sé stessi e con il pubblico sia la cosa più importante. Dovremmo riuscire ad ascoltare il fiato di quelli che non si lasciano abbattere e si rialzano dopo ogni caduta. Prendendo esempio da Charlie Parker, che ha usato il linguaggio dei neri nel suo modo di suonare il sassofono, dentro il mio fiato ci metterei tutta la sofferenza, l’ingiustizia, il non essere ascoltati. La consapevolezza di un vinto ma onesto; di chi ha vissuto la propria vita soffrendo; di chi emette un sibilo, perché gli manca il fiato grosso, e ha solo quel fiato sottile per comunicare sé stesso, i propri valori, al mondo intero.»

Da una crescita quasi sotterranea al jazz come pilastro della nostra cultura, nel tentativo di edificare una società migliore di come i nostri figli l’hanno trovata.

«Nutro fiducia nei confronti della nuova generazione che, magari, facendo tesoro degli errori fatti in passato dai loro padri, potrebbe riuscire laddove noi abbiamo sbagliato. Sono stanco di assistere ai continui inseguimenti del denaro, del successo ad ogni costo, del potere televisivo… Provo infinito rispetto e profonda compassione per quelli che si fanno il culo ogni giorno, sudando e sgobbando per sbarcare il lunario.»

I luoghi, le atmosfere, la gente… nel ricordo di un tredicenne che, al saggio di fine anno delle medie, realizza che avrebbe voluto suonare il sax.

«Da piccolo pensavo di fare il cameriere, i miei modelli erano i genitori e il ristorante di famiglia. Poi mio padre mi mandò alla scuola di musica della banda di Settecamini e il maestro Carmelo Scafidi decise che dovevo suonare il sax.»

Speranza, magia, l’arte dei suoni fin dall’imitazione dei rumori della natura alle fughe di Bach. Le frequenze della musica ci procurano sensazioni quasi fisiche, un benessere dell’anima, sotto le stelle del jazz.

«Io volo basso, ma in Francia una signora mi disse che miglioravo la qualità della sua vita. Sono un’anomalia. Non credo di avere scelto di fare il musicista. Se solo fosse vero, però, magari sono sempre stato un sassofonista e non lo sapevo.»

 

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