Supereroe, una storia di coraggio

DI CARLO MINGIARDI

Ero seduto in aeroporto in attesa che annunciassero la partenza del mio volo.
Ho sempre odiato quei momenti, l’angoscia riusciva a prendere il sopravento, la paura si insinuava in ogni cellula corporea e perdevo il controllo della situazione.

Oggi li chiamano attacchi di panico, ai miei tempi si chiamava fifa, fottutissima fifa di entrare in quel sigaro d’alluminio con le ali e due motori. Ma il mio destino era quello, lavoravo all’estero, molto lontano dalla mia amatissima Italia e non potevo andarci in automobile, l’unico mezzo per attraversare il Mediterraneo in tempi ragionevoli era quel maledetto aeroplano.

“ I passeggeri del volo 6544 per Tripoli sono pregati di raggiungere l’uscita 26 per l’imbarco…”.
Sentivo fiumi di adrenalina scorrere senza alcun controllo sotto le pelle cerea, cercavo di camminare in modo normale ma sembravo più un robot che un essere umano. Quando entrai nell’Airbus A 300 dell’Alitalia, una gentilissima hostess mi indicò con gentilezza fila e posto, ero circa a metà dell’aeromobile vicino al finestrino, potevo vedere l’ala sinistra con il motore che già produceva quel leggero sibilo che sarebbe poi diventato un urlo in fase di partenza.

Mi sedetti come un automa, allacciai la cintura, mi attaccai ai braccioli del sedile e chiusi immediatamente gli occhi. Cercavo di respirare in modo lento e controllato perché avevo letto su Focus che la cosa aiutava a rilassarsi, ma sapevo benissimo che i prossimi trenta minuti, fase di decollo e salita a quota di crociera, sarebbero stati terrorizzanti.
Dopo quel tempo interminabile, quando finalmente capii che eravamo a 9000 metri di altitudine, aprii con cautela gli occhi.

Nel sedile davanti a quello mio, c’era un bambino in piedi appoggiato allo schienale che mi guardava con occhi innocenti e curiosi. Avrà auto cinque/sei anni, potevo vedere solo il suo bellissimo viso, rimanemmo a guardarci senza proferir parola per un bel pò, anche perché ero alle prese ancora con il mio stato di angoscia e non avevo alcuna voglia di parlare.

“Perché sei stato sempre con gli occhi chiusi?” mi chiese all’improvviso,
“Perchè ho paura dell’aereo”.
Volevo tagliare subito la conversazione con il ragazzino e decisi di essere il più franco possibile.
“Anche io ho paura certe volte…”,
disse dopo un sospiro il fanciullo, ma la cosa che mi colpì in quelle poche parole fu il modo in cui le disse, con una maturità e una consapevolezza che mi lasciarono interdetto.
“Lorenzo non dare fastidio al signore”, disse la mamma al bambino.
“Stia tranquilla, non mi disturba assolutamente”, risposi alla signora.
“Lorenzo mettiti seduto, lo sai che ti stanchi a stare troppo in piedi”, aggiunse la mamma.

Non so bene per quale motivo, forse per quelle parole che mi aveva appena detto, forse perché quel bambino mi incuriosiva, ma mi venne spontaneo dire:
“Se vuoi puoi venire a sederti vicino a me, il sedile è libero, così possiamo parlare”, la mamma annuì e il ragazzino in un baleno venne a sedersi dietro.
Solo allora mi resi conto che a Lorenzo mancava una gamba.

Fu come avere un cazzotto nello stomaco, lui si accorse del mio imbarazzo e con la naturalezza delle anime innocenti mi disse:
“Hai visto, mi manca una gambetta, l’ho persa in un incidente con la macchina con il mio papà… lui è volato in cielo…”.
Sentii un dolore profondo al cuore e le lacrime che inumidivano gli occhi ma mi feci forza e iniziai a parlare con Lorenzo.
Parlammo per due ore di seguito, le cose che mi raccontò quel bambino, il suo percorso in ospedale, la perdita del suo papà, il rapporto con la sua mamma, le difficoltà che aveva a scuola, mi fecero sentire un piccolo uomo.

Quanto coraggio, quanta forza d’animo, quanta determinazione in una creatura di soli sei anni e io che ero terrorizzato solo dal fatto di dover affrontare un viaggio in aereo.
Fu il volo tra le nuvole più bello che ho fatto in vita mia.

Ricordo ancora quel fanciullo con un grande senso di gratitudine, mi ha insegnato che l’importante non è stabilire se uno ha paura ho meno, ma è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa.
Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza

Immagine tratta dal web

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