Vendendo pensieri altrui

DI PAOLO MASSIMO ROSSI

Entrò in casa attraverso la porta di legno nella quale qualcuno, in altri tempi, aveva praticato un forellino per guardare il pianerottolo: un semplice buco privo di lente grandangolo e di dischetto protettivo in rame.

Nella piccola cucina azionò con le lunghe corde il meccanismo che apriva il lucernaio posto circa cinque metri più in alto nella falda inclinata del tetto. Con uno scricchiolio lamentoso e metallico, il vetro si aprì permettendo di areare il locale.

Per un attimo guardò verso l’alto, poi entrò nella stanza e si diresse sul terrazzino, dove sedette sulla vecchia poltrona di vimini.
Se musica idonea avesse permeato l’aria interna ed esterna, ballando in alternativo crescendo tra l’anima e i muri, tra i sogni e la materia immanente, si sarebbe alzato guardandosi correre in tondo, come sospinto da un mulinello di vento.

Così stordendo i pensieri e imitando un qualsiasi derviscio anelante, in una fanciullesca vertigine e con un riso innocente, aperto e sognante di ebbrezze future. Un irraggiungibile perfetto e assoluto falsificabile vero, segno obliàbile di raro sentire che quel vento, consunto di sé, rendeva violento.

Rientrò nella stanza, aprì la cassettina dove teneva il denaro incassato e rapidamente fece i suoi conti: si sentì contento eppure senza futuro. Qualcuno avrebbe potuto pensare che la sua fosse una vita miserabile, ma Roè si illudeva che poteva essere interpretata come sobrietà.

Aprì un quaderno dove segnava pensieri e parole che avrebbe utilizzato quando finalmente sarebbe diventato scrittore e non solo venditore di libri.
Rimase per un attimo a pensare a quel giorno di primavera e all’inverno appena trascorso, poi scrisse di getto:

Vita inconclusa
in occasioni perdute
Smarrita
Nei tramonti di sera
Quando lamenta
Un impossibile vero
Quando fugge
Una colpevole morte.

Immagine tratta dal web

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