Villa Erika

DI GIOVANNI BOGANI

 

È il 2021. È finito anche l’anno della fine del mondo, ma non è che stiamo tanto meglio, anche dentro questo anno nuovo nuovo. Il cielo è sempre grigio, fa un freddo cane.
E al telegiornale i morti ogni giorno sono sempre centinaia.

Ormai sembra normale, e chissà chi sono quegli uomini e quelle donne che ogni giorno muoiono, senza che nessuno possa andarli a trovare, quando soffocano, quando sentono andare via le speranze.

Ci dev’essere un momento in cui smettono di sperare. Quando vedono entrare dalle porte della stanza solo astronauti, e smettono di sperare di vedere i loro gatti, i loro cani, i loro figli, le loro figlie.

È una tragedia collettiva immane, ma tutto quello di cui si parla, alla televisione, sono i litigi dei politici.

Si parla di soldi, dei ristoranti e della stagione sciistica, e anche la gente per strada non sembra avere facce diverse, i ragazzi fanno i bulli a gruppetti di quattro o cinque, gli adulti vanno dritti come se sapessero dove. Ma nessuno di noi lo sa.

Io torno a parlarti, dopo più di un mese in cui sono stato in un mondo strano, una pianura del Nord dove è scesa anche tanta neve.

Il pomeriggio andavo a piedi fino al campanile del paese, attraversando strade di villette fra la campagna e la brina.

Ho passato ore in una cucina con una gatta silenziosa. Ma non sono riuscito a scriverti. Chissà che ho fatto. Ho lavorato, come tutta la mia vita, senza averne l’aria.

Sul mio telefono c’è una ragazza che canta. E fa un gesto per dire “tocca a te”, con due dita che mimano una pistola.

E d’improvviso penso: quel gesto lo fanno gli americani.

E poi: come faremmo noi?

E poi: tu non amavi quelli che “parlano con le mani”.

E infatti, ora che ci penso, non ti ho mai visto gesticolare. Non ti piacevano gli uomini che parlavano con le mani: perché si parla con la testa, con la mente.

C’era, in te, l’idea di un primato della mente sul corpo, un’idea della spiritualità dell’essere umano di cui non mi sono davvero mai accorto fino in fondo.

Dicevi soltanto “non mi piacciono gli uomini che parlano con le mani”, ma volevi dire che l’uomo è un essere meraviglioso, che è fatto di spirito: le mani, e i piedi, e le spalle sono solo un accessorio, un retaggio di migliaia di anni fa, quando eravamo scimmie.

Ti piaceva, non l’hai mai ammesso, il giovane proprietario della pensione dove andavamo in vacanza, quella con la grande veranda di fronte al mare.

Credevo fosse perché era bello. Invece era perché parlava tre lingue, aveva la Francia e la Spagna nel suo sorriso e nei suoi gesti: e anche in una pensione da tre soldi, ti chiedeva con grazia quale vino avevi scelto. Eri principessa, per un attimo, e io ero il re del mondo.

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