Allora ci sono cose da fare. Arrotolare tutte le r e le doppie dimenticate, gli addendi scapricciati dai quadretti, la somma ingombrante sull’ uguale e mai giusta sotto il banco togato dei numeri.
C’è che fuori dai margini c’è stato un colpo tra le costole e che ci deve essere stato un prima di tutte le matite rotte e la ruga già così definitiva sulla fronte, i buongiorno estorti.
C’è poi da arrotolare, dall’altra parte, tutte le grafie dalle agende, l’appuntamento dal dottore e il disagio dei fazzoletti, il croccante rumore dei blister di plastica e quello seduttivo delle effervescenze sedative del dolore.
La violenza domestica per esempio. Quella parola così profumata che metteresti sopra una lavatrice o tra i pacchi dei biscotti.
Domestica.
Che in fin dei conti è quasi gentile, come mettere tendine di pizzo su finestre vista Auschwitz o la fodera di lana di nonna al coltello a serramanico.
Ci siamo dunque. Il punto xy è l’inizio di una faticosa geometria.
E il punto, in quella dimensione, ha delle dimensioni con un peso specifico di occhi e cicatrici e polsi e parole e orari e “t” con cui fare pace.
Un passo fuori dal millimetro ed è tutto da rifare, ricominciare da capo per vedere se c’è una ragione alla storia degli incontri.
A volte non c’è da fare un percorso ma stare sul punto, starci dentro come una bandiera sulla luna con una forza di radice più dura dei destini sempre in movimento.
Immagine tratta dal web
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