Zingaretti, un Segretario che non conta nulla è giusto che si dimetta. L’analogia con Conte, due facce della stessa medaglia

di Salvatore Salerno

ZINGARETTI, UN SEGRETARIO CHE NON CONTA NULLA E’ GIUSTO CHE SI DIMETTA. L’ANALOGIA CON CONTE E’ SOTTO GLI OCCHI DI TUTTI. LA STESSA SIMPATIA O ANTIPATIA, DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA.
Non è il buon Zingaretti il male del PD, ma è lo stesso Partito che è già nato male con la fusione a freddo di storia e pensiero diversi, contrapposti e mischiati nell’una e nell’altra realtà di origine che erano la “Margherita” di Rutelli e il PDS di Fassino, due Partiti al collasso e con le classi dirigenti sopravvissute ridotte ai minimi termini in qualità e qualità. Come si poteva pensare che un Rutelli o un Fassino potessero guidare quelle ambizioni e poi un Veltroni? Un Renzi invece era la logica conseguenza ed è quello che è avvenuto, un figurante ingaggiato dai padroni di questo nuovo ordine mondiale per annullare qualsiasi cosa di sinistra che potesse essere sopravvissuta e con fatica in quelle componenti iniziali del PD. Questa è stata la “rottamazione”.

Quel PD è nato dunque per volontà di una crisi politica molto legata a quel momento storico, il primo decennio di questo nuovo secolo che ha visto la prima e più grande operazione di globalizzazione economica e politica, del nuovo ordine mondiale, che nasce dai soldi inventati dalla finanza, quella dei derivati e del neoliberismo sfrenato, di un mercato di beni e servizi che non accettava più neanche le stesse regole liberali e democratiche di una crescita della ricchezza per i potenti, ma anche per tutti, quelle regole che fino ad allora consentivano ancora la dignità del lavoro dipendente, degli autonomi, dei pensionati. Quello che si definiva “ceto medio”, quelle regole che comunque assicuravano la sopravvivenza anche alle fasce più disperate della popolazione dell’occidente e il lento progredire di miliardi di persone verso il progresso di secondo e terzo mondo facendo uscire almeno dalla fame enormi territori di Cina, Asia, Africa.
Quella crisi del primo decennio del XXI secolo, che ha dato maggiore forza al potere economico e finanziario dappertutto, ha incontrato in Italia il suo momento peggiore nella politica sfiancata da Tangentopoli e dalla fine dei grandi e piccoli Partiti storici. Ha incontrato in Italia il potere politico impersonato dai più mediocri, quelli che ci sono ancora, quei Partiti che hanno fatto grande l’Italia nella lotta al ventennio e poi, nel dopoguerra, facendola arrivare nei primi posti delle classifiche mondiali.
C’erano e ci sono sempre state le crisi economiche tanto da far diventare la parola “crisi” una costante della nostra storia e della cronaca quotidiana, ma erano di segno diverso, con molta connotazione interna e, comunque, se ne usciva, si andava avanti, ogni generazione successiva poteva avere aspettative di miglioramento rispetto a quella di prima. Non è più così dal XXI secolo.
Cosa c’entra Zingaretti in tutto questo? Molto, moltissimo. C’entra Zingaretti come c’entra tutto il panorama politico italiano, c’entra il PD che è stato fondato frettolosamente perché funzionale a quello sviluppo negativo della politica che stiamo vedendo da anni, c’entra il M5S, c’entra la destra italiana di Salvini e Meloni, la peggiore in progettualità e responsabilità e riflesso di un sistema imprenditoriale retrivo, inefficiente e assistito come quello italiano. Quando questi partiti e movimenti diventano Istituzioni e Stato, nel Parlamento e nei governi, c’entra eccome.
Non ne abbiamo di altri significativi se non una piccola pattuglia di sinistra in Leu e qualche partitino personale con funzioni di killeraggio e sfascio come Italia Viva, entrambi senza prospettiva a breve, soprattutto elettorale, se non rientrano in case più grandi. Il PD è stata l’operazione chirurgica perfetta per inquinare tutto il sistema politico italiano da quando è nato, lasciamo perdere i presupposti politici rivelatesi inesistenti, l’incontro fra cattolici e comunisti, il maggioritario stile americano, la responsabilità di governo che si è tradotta nella semplice esecuzione delle altrui volontà, quella della globalizzazione e della finanza selvaggia, dell’Europa dell’austerità e della prima Merckel, della macelleria sociale. Da qui il primo governo Monti del 2011 e fin qui il governo Draghi non può essere una sorpresa.
Per tutti questi motivi la vicenda Zingaretti è la stessa di Giuseppe Conte, un sistema politico che non sopporta i corpi estranei e va normalizzato. Zingaretti non conta nel PD dove altri giganti (si fa per dire) fra i nani come qualche Presidente di Regione (Bonaccini, De Luca, Emiliano…), qualche Sindaco (Milano, Bergamo, Firenze, Bari…) conta molto di più di un segretario, di una segreteria e direzione, di un’ assemblea nazionale e di qualunque povero iscritto o elettore.
Questi personaggi non avanzano motu proprio, non rappresentano la base degli iscritti né, tantomeno, quella dei votanti del loro partito o movimento, ma perché c’è anche una stampa e tv italiana che è malata, padronale, quella degli eredi Agnelli, dei Cairo e dei De Benedetti, della stessa Rai pubblica. Contano perché prevale la propaganda al ragionamento su ogni cosa, la pandemia aiuta questo clima di mancati confronti e ragionamenti e si arriva perfino a disegnare evoluzioni o involuzioni di governi e partiti secondo i desiderata di chi vuole tenere per sé la fetta più grande, in questo momento i soldi del next generation EU.
C’è da vedere oggi cosa significano le dimissioni di Zingaretti per tutti gli altri, Governo, movimento 5stelle, destra e sinistra, ma andremmo per le lunghe.
Continua…

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