Ricordiamo ancora che c’è una testa tra un orecchio e l’altro?

DI ANNA LISA MINUTILLO

 

L’edera, una pianta considerata infestante, che se non si attacca muore, fa bella mostra di sé.
Non è abituata a vivere da sola, si riproduce perché trova le giuste condizioni.
Appare anche un tantino egoista perché se ne infischia di soffocare ciò che le sta intorno.

Lei, cerca la vita, il suo spazio nel tempo, la relazione con le altre foglie, lo scambio costante di sostanze nutrienti e di forza, che gli giungono senza essere richieste dalle altre foglie.
Ha compreso che insieme è meglio e non ha nessuna intenzione di darsi per vinta.

Te ne liberi?, devi farlo al meglio, totalmente.
Non deve restare neanche la più piccola radice altrimenti, la tua battaglia non è servita a nulla: rinascerà, più forte e determinata di prima.

No, non è una lezione di botanica è ciò a cui ho pensato stamani, all’alba, quando innaffiando il mio giardino, l’ho vista lì, rigogliosa e fiera.

Fiera perché non ho mai pensato di estirparla, sa forse che qui, c’è posto per tutti.

È stata fortunata perché è nata nel posto giusto e deve aver fatto un patto silenzioso, di cui non mi ha informata, perché non ha soffocato la libertà di vivere di nessuna altra pianta.

Corre lungo il muretto che separa la veranda dal giardino, non chiede nulla, e prosegue imperterrita la sua esistenza.

Mi fa pensare ai giovani di Milano e delle altre città del paese.
Stanchi di essere repressi, di non poter avere una vita di relazioni interpersonali, che si devono accontentare di sopravvivere.
Abbiamo creato per loro un concetto di mondo che è alquanto discutibile.

Li abbiamo dimenticati quando in altre faccende affaccendati.
Non ci siamo accorti di quando venivano bullizzati oppure si ammalavano di anoressia.

Non li abbiamo visti neanche quando facevano richiesta di attenzione che poi sono andati a cercare in sostanze che demonizziamo ma sono diventate il loro rifugio.

Persi di vista, con l’alibi della responsabilizzazione, abbiamo riempito le loro tasche di denaro, senza preoccuparci di come lo avrebbero successivamente investito.

Tutti tranquilli, a posto con la «coscienza», regalando loro, alle prime armi nella guida, veloci bolidi su cui sfrecciare per piangerli poi morti sulle strade, in un sabato sera qualunque, dove a fare loro da coperta c’era il freddo dell’asfalto e non certo il loro letto caldo.

Si è fornito loro un’educazione sessuale che nel migliore dei casi si ferma allo: «scopa con chi vuoi, ma usa il preservativo». Si spendono poche battute sulle malattie a trasmissione sessuale, e meno ancora sul rispetto per le donne, che non sono oggetti con cui divertirsi e basta ma è sempre andata bene così…

Nella quotidianità poco il tempo a disposizione, si deve lavorare, assicurare la famiglia alla sussistenza, si rientra stanchi, provati e non c’è la voglia né il tempo di perdersi in chiacchiere superflue.
Il modello che si dà è quello di medusa, dalle mille braccia, tutte attive e guai a fermarsi.

Ciò di cui ci sarebbe bisogno: ascolto comprensione, valori diventa di secondaria importanza. E così, sebbene sotto lo stesso tetto, nessuno conosce l’altro, qualcuno lo ha scoperto durante la pandemia, quanto, nonostante le mancanze abbia figli validi, strutturati, intelligenti.

È naturale, in questa società, non c’è spazio per i cerebrali, per gli onesti, per i leali.
È stato mostrato loro che:«chi è più furbo e scaltro vince».
Li abbiamo fatti assistere all’ignobile spettacolo che la politica ci propina ogni giorno, abbiamo mostrato loro come affossare il collega di lavoro tramite mosse pungenti e mirate.

Abbiamo insegnato loro che l’amicizia è opportunismo, che bisogna avere amici che hanno e che ti danno, tutto l’opposto di come dovrebbe essere.

Gli abbiamo mostrato quanto infrangere le regole, seguire scorciatoie, avere la persona giusta al posto giusto e «ungerla» adeguatamente possa aiutare quando gli altri sgobbano una vita per riuscire a trovare un posto di lavoro.

Guai poi a trascurare l’immagine, :«deve essere vestito griffato dalla testa ai piedi mio figlio mica si può sentire perculato dai compagni di classe!»
Allora giù di firme e firmette, quando sarebbe sufficiente essere puliti, ordinati e decorosi.

Un panorama che potrebbe proseguire, ma il lettore non si deve ammorbare, soprattutto di questi tempi in cui la tensione è già tanta, ma poi queste sono solo parole e tali la maggior parte di chi legge,  le farà restare…

Già, ci lamentiamo dei giovani senza sale in zucca ma non vediamo mai da chi vengono educati.
Ce la meniamo per la movida, per l’aperitivo che potrebbe essere consumato in modo corretto, in strada o anche in casa.

Non ci preoccupiamo minimamente di insegnare loro a tenerlo pulito il mondo perché lo sporchiamo noi per primi con tutte le nostre nevrosi, distrazioni e con questa spasmodica ricerca della eterna gioventù.

Molti genitori hanno la mia età, magari un matrimonio fallito alle spalle, qualche tentativo di convivenza naufragato prima ancora di iniziare, e la non volontà di vedersi invecchiare allo specchio.

Non importa se si tratti della madre o del padre, i primi ad essere in cerca, a caccia il sabato sera, a frequentare quei locali in cui si cucca alla grande, sono proprio loro.

Gli stessi che puntano il dito contro i giovani della movida che non hanno saputo seguire, quando non c’era un virus a cui badare…
Quando termina la gioventù realmente?

Forse mai, ma non bisogna confondere l’apertura mentale, la predisposizione al divertimento che ci vuole e ci sta, con il dimenticare i propri ruoli educazionali e relegarli a scuola e società per sentirsi meno responabili di quanto avviene.

Non si è amici dei figli, o meglio: non si è solo quello, e dimenticare che ci osservano, che apprendono, che vanno comunque seguiti, porta dolore e fallimento.
Chissà, magari ha ragione chi, anche in pandemia, trasgredisce alle regole.

Forse ha ragione chi dopo questi mesi lunghi di isolamento ha il sacrosanto diritto di tornare a vivere, forse chi in modo superficiale non riflette sul fatto che i comportamenti errati, si ripercuoteranno inevitabilmente sulle vite altrui.

Ma vedete, fino a che gli esempi dati si rifanno a quanto detto sopra, beh, allora, abbiamo poco da lamentarci, in fondo non è solo colpa dei giovani.

Devono arrivare gli assistenti civili, per mettere tutti in riga, per farci poi lamentare di un clima dittatoriale che ci priva della libertà individuale.
L’assurdo è che si insegna libertà, ma che passa superficialità e finto benessere.

L’assurdo è che anche quando ci sarebbe il tempo per fare cose insieme ai giovani, si preferisce dedicarsi alla propria realizzazione personale.

L’assurdo è che non si vigila e tutti debbano subire il controllo di figuri di cui si potrebbe allegramente fare a meno.
L’assurdo è che qui non si tratta di soli aperitivi ma della vita, che se persa non torna più.

L’assurdo è che si insegna ad essere rispettati ma non a portare rispetto, all’ambiente, agli altri, a se stessi, altrimenti sei perdente, sfigato, merda.

Ecco, fino a quando si dimenticherà che tra un orecchio e l altro ci sta una testa, allora avremo poco da lamentarci.
Dobbiamo solo augurarci che covid, immagini di morte, strazio delle famiglie, giorni trascorsi in compagnia del suono delle ambulanze, medici morti, personale sanitario infettato, anziani persi e con loro la storia di questo paese, turni massacranti con i segni delle mascherine sul volto degli infermieri, esercizi chiusi, persone senza più un lavoro, bambini senza scuola, in gabbia per non aver commesso nulla, siano solo invenzioni di fantasia come qualcuno sostiene, altrimenti, quando si guarderà alla realtà per ciò che davvero è, beh:sì che si impazzira’.

Il virus morira’, come tutte le cose senza cuore.
Facciamo che i senza cuore non facciano morire noi.


©® foto limian

Anna Lisa Minutillo
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Pubblicato da Anna Lisa Minutillo

Blogger da oltre nove anni. Appassionata di scrittura e fotografia. Ama trattare temi in cui mette al centro le tematiche sociali con uno sguardo maggiore verso l'universo femminile. Ha studiato psicologia ed ancora la studia, in quanto la ritiene un lungo viaggio che non ha fine.