A scuola non ci sono né orchi, né streghe

di Vittorio Lodolo D’Oria

Negli ultimi dieci anni, quasi tutte le indagini volte a rilevare Presunti Maltrattamenti a Scuola (PMS) da parte di maestre violente si sono avvalse di lunghissime ore di audiovideointercettazioni che poi sono state elaborate, decontestualizzate, trascritte (talvolta – pur non potendolo essere – commentate e drammatizzate), infine utilizzate come prova a carico degli indagati.

Ma come si faceva prima di allora, quando la tecnologia non consentiva di ricorrere alle telecamere?

Prendiamo le due vicende che hanno destato maggiore interesse fino a scuotere l’Opinione Pubblica: il caso dell’asilo Sorelli di Brescia (2003) e Olga Rovere di Rignano Flaminio (2006). Con l’aiuto dei giornali dell’epoca, proviamo a ricostruire per sommi capi i casi.

Asilo Sorelli di Brescia (La Stampa 07.05.10): “…un bidello, un prete e sei maestre, delle quali due sono state anche ingiustamente detenute dieci mesi dietro le sbarre. Era il 2003, gli imputati erano stati accusati di violenza e abusi sessuali nei confronti di addirittura 23 bambini. Uno scenario di pedofilia consumata all’asilo tra satanismo, botte, sevizie con i mozziconi di sigaretta, fughe da scuola con i malcapitati sottobraccio per portarli da misteriosi «uomini neri», abusarne e filmarli…”. Il lungo iter giudiziario, con oltre 200 udienze, si conclude in Cassazione dopo 11 anni: “assoluzione per tutti perché il fatto non sussiste”. Il Comune di Brescia viene condannato a pagare 1,5 milioni di euro per spese legali e risarcimenti vari agli imputati. I giudici stigmatizzano l’accaduto come “una psicosi collettiva da contagio emotivo”.

Asilo Rovere di Rignano Flaminio (www.radiospada.org “Pedofilia e satanismo. Vi ricorda nulla? Quando si “sgonfiò” il caso Rignano Flaminio” 12.07.19): è probabilmente il caso più famoso che vide, il 12 ottobre del 2006, il coinvolgimento di tre maestre, una bidella e un autore TV. “…Le accuse erano di pedofilia, violenza sessuale di gruppo con rituali satanici. Gli indagati si sarebbero riuniti in associazione per attuare il programma delittuoso finalizzato anche al compimento di atti osceni in luogo pubblico, maltrattamenti, sottrazione di minore e sequestro di persona. Avrebbero terrorizzato le loro vittime con l’uso di cappucci, vestiti da diavolo o coniglio nero o altro ancora, mostrandosi ai medesimi completamente o parzialmente svestiti. Avrebbero poi costretto i bimbi a ripugnanti atti di coprofagia e coprofilia, quindi avrebbero compiuto riti esoterici e satanici…”.

Un quadro da horror cui chiunque avrebbe fatto fatica a credere. Eppure, non era abbastanza perché i racconti proseguivano: “…i bambini venivano costretti ad atti di adorazione del diavolo, mentre venivano usate croci infuocate e animali gettati nel fuoco. Le scene venivano fotografate e riprese con telecamere i cui servizi sarebbero stati immessi nel circuito del commercio di materiale pedo-pornografico…”. E via discorrendo. L’intera vicenda – ancora una volta – si chiude otto anni dopo, in appello (2014), con l’assoluzione di tutti gli imputati “perché il fatto non sussiste”. È l’ennesima archiviazione come ulteriore episodio d’isteria collettiva.

Una costante comune a queste due storie noir che vedono per vittime dei minori, sono le accuse – poi rivelatesi totalmente infondate – di violenze a sfondo sessuale, pedofilia, maltrattamenti ed esoterismo con riti satanici. Analogie che troviamo peraltro anche in casi di cronaca recente che non riguardano direttamente la scuola ma minori nelle loro famiglie (si vedano i casi “inventati” di Bibbiano e dei “Diavoli della bassa Modenese” in Val d’Enza).

Veniamo ora al terzo caso che, seppure meno famoso, riguarda l’attualità e richiede estrema cautela nel giudizio proprio per le analogie che presenta con le vicende trattate.

Istituto Comprensivo di un paese nel Lazio processo in corso): a differenza dei casi di Brescia e Rignano Flaminio, le accuse alla maestra indagata vengono formulate da colleghe anziché da genitori degli alunni. La maestra – secondo una collega – farebbe parte di una setta satanica mentre per altre sarebbe responsabile di maltrattamenti ai danni di un bimbo disabile.

L’accusata invero sostiene che non si tratta di maltrattamenti ma di necessari interventi di contenimento del bimbo oppositivo.

I genitori dell’alunno in questione sono sorprendentemente riconoscenti alla maestra per il lavoro svolto col figlio, avendola inoltre autorizzata (per iscritto) a intervenire fisicamente qualora il comportamento del loro figliolo lo richiedesse. La maestra viene anche accusata dalle colleghe di non sottrarsi agli slanci affettivi a volte esuberanti del bambino rimproverandole così un improbabile comportamento schizofrenico a “baci e botte”.

E i genitori della classe? Nessuno si è costituito parte civile e la stragrande maggioranza ha sollecitato ripetutamente il rientro della maestra con sit-in e assemblee pubbliche. Insomma, una disputa tra colleghe che vede isolate proprio le accusatrici.

Questione che toccherebbe, a tutti gli effetti, dipanare al dirigente scolastico in prima persona, se non fosse che questi ha ritenuto preferibile non invischiarsi nella vicenda e demandare il compito all’Autorità Giudiziaria. Gli inquirenti richiedono per le indagini il supporto tecnico delle intercettazioni ma, per qualche recondito motivo, non lo ottengono. Al contempo il dirigente veniva sconsigliato (perché mai?) dall’inviare notifica all’USR, circa l’indagine avviata.

Va indubbiamente rimarcato il fatto che in caso di rischio reale di maltrattamenti il preside avrebbe dovuto intervenire subito e in prima persona (ad es. con ispezione, affiancamento, accertamento medico, sospensione cautelare) anziché scaricare la responsabilità all’A.G. – il cui intervento richiede mesi – e lasciare i bimbi esposti a eventuali rischi. Questo caso inoltre detiene un singolare primato, rispetto non solo ai casi di Brescia e Rignano Flaminio, ma anche a tutti i casi di Presunti Maltrattamenti a Scuola (PMS) fino a oggi occorsi: l’effettuazione di un’audizione protetta di un minore disabile che non ha portato – come prevedibile – da nessuna parte. Un siffatto intervento rischia tra l’altro di destabilizzare ulteriormente la psiche del bimbo, anziché tutelarlo.

Riflessioni

Purtroppo, spesso, i dirigenti scolastici preferiscono non intervenire. In alcuni casi addirittura sono loro stessi a denunciare all’Autorità Giudiziaria il presunto comportamento delittuoso della loro maestra, motivando la propria inerzia o azione in virtù dell’art. 331 del cpp che impone al pubblico ufficiale di denunciare immediatamente una notizia di reato. Tale comportamento appare ineccepibile, se non vi fosse un secondo articolo (art. 40 2° c del c.p.), solo apparentemente in conflitto col precedente, che richiama il dirigente alle sue responsabilità: “Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

A conciliare le due norme di legge viene in aiuto una sentenza della Suprema Corte che sembra fugare ogni dubbio: “Deve essere confermato l’arresto della DS per il reato di maltrattamenti ai danni di alunni della scuola ove l’indagata svolgeva le proprie funzioni di direttrice, allorché sia emerso dall’istruttoria che la stessa aveva omesso di esercitare i poteri di vigilanza, controllo, segnalazione e denuncia, non impedendo così i maltrattamenti di altra insegnante (Cassazione n°38060 del 18/07/14)”.

Non è affatto casuale la sequenza con la quale la Suprema Corte richiama i doveri della dirigente che sono nell’ordine la vigilanza, quindi il controllo, poi la segnalazione e, solo da ultimo, la denuncia. In altre parole, la Cassazione conferma che il dirigente scolastico ha un ruolo e possiede dei compiti da svolgere cui non può derogare limitandosi a fare da passacarte delle altrui denunce.

L’intervento tempestivo e appropriato del DS ha il duplice vantaggio di tutelare immediatamente i minori (a differenza di una lunga indagine che vedrebbe esposti gli stessi a eventuali violenze) e di affrontare la questione tra persone competenti, cioè addetti ai lavori, e non esterne alla scuola.

Tutti gli episodi citati coinvolgono minori ma sono frutto di racconti narrati, descritti e riportati da adulti che assai spesso condizionano pesantemente i bambini, come constatato dai giudici. Le storie raccontate dai genitori hanno tra loro, come fattore comune, importanti comportamenti devianti quali la pedofilia, le molestie sessuali, i maltrattamenti, i riti esoterici e altre nefandezze che difficilmente possono realizzarsi in un posto “controllato” (perché pubblico) come la scuola primaria e dell’infanzia. Ne sia prova il fatto che, ad oggi, nessun processo per PMS ha fatto registrare orrori come quelli narrati a Brescia e Rignano Flaminio, considerati peraltro dai giudici stessi quali episodi di psicosi collettiva. Occorre quindi un’estrema cautela degli inquirenti, prima di dare per acquisito ciò che fino a oggi si è rivelato indimostrato.

Conclusioni

Dobbiamo aver presente innanzitutto quali sono le ricadute di accuse così infamanti nelle vite delle persone ingiustamente incriminate: la detenzione in carcere, la compromissione della salute, la gogna mediatica, il pubblico disprezzo, la violazione della privacy, la sospensione dal servizio fino al licenziamento, le spese legali, la costituzione di parti civili e via discorrendo.

Se il dirigente scolastico non venisse cortocircuitato, o se gestisse validamente in prima persona la questione, non ci sarebbe alcun procedimento penale e la risoluzione della vicenda sarebbe tempestiva. Non è un caso se episodi di PMS hanno luogo nella sola Italia e non negli altri Paesi occidentali: chi gestisce e risolve simili questioni all’estero è sempre lo school-master (cioè il preside) e non il giudice.

Ciascun dirigente, consapevole dei suoi compiti, non può sottrarsi ai doveri che gli impongono di tutelare la salute dei docenti e l’incolumità degli alunni. Laddove poi il capo d’istituto si confronti con litigi, screzi e ruggini tra insegnanti, deve cercare di ricomporre i dissapori evitando, laddove possibile, il ricorso all’Autorità Giudiziaria. Quest’ultima, quando chiamata a intervenire nella scuola, per un qualsiasi motivo, operi sempre in punta di piedi, consapevole di muoversi in un settore delicato a lei sconosciuto, come Brescia e Rignano Flaminio stanno a dimostrare. Se infatti, tre lustri addietro, inauditi casi di cronaca si sono rivelati, per i giudici, episodi di isteria o psicosi collettiva (dopo ben dieci anni e 200 udienze), nemmeno col successivo avvento delle telecamere sono mai state documentate siffatte storie noir e horror in una scuola.

Questa duplice constatazione, si badi bene, non fa tanto leva sulla “buona indole”, riconosciuta a chi lavora nella scuola, ma all’ambiente scolastico stesso che garantisce un alto livello di controllo a chi lo frequenta quotidianamente.

La controprova discende dal fatto che i gravi episodi luttuosi, a danno dei bimbi, avvengono tra le mura domestiche e mai in ambito scolastico.

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