Accettare le «diversità» per non violare ciò che si è

DI MARIA RONCA

Mamma Sofy lo sa cosa significa accogliere la propria creatura. Non importa qual è l’orientamento sessuale per un genitore resterai figlio/a a vita.
Mattia è riuscito a parlare con i suoi genitori. Non era certo un problema insormontabile.
Finalmente i genitori comprendevano i lunghi silenzi che avevano determinato il periodo adolescenziale durato, oltre modo.
All’inizio tante domande, senza risposta. L’accettazione di sé rispetto agli altri ruota intorno a domande del tipo, cosa penseranno di me?
Nella prima fase si pensa più agli altri che a sé.
La paura di esporsi a giudizi o a critiche diventa un ostacolo. La guerra è prima con sé stessi. Ci si sente come un malato immaginario. Si cerca di allontanare il pensiero. Inutile.
Nella seconda fase, quando non puoi più negare le evidenze fai i conti con la famiglia, i pareti, i compagni e i conoscenti. Come dirlo, come rapportarsi e come affrontare il discorso?
La paura blocca, ma più di tutto il rifiuto di non essere accettati, accolti e compresi.
Sofy e suo padre lo sapevano già, lo avevano sempre saputo.
La reazione, un lungo abbraccio e un ti voglio bene figlio mio, saremo sempre con te per sostenerti.
Avevano capito quanto potesse essere cattivo il mondo nell’etichettare un/una ragazza, per ignoranza.
Non è facile immedesimarsi nel dolore degli altri, nell’accettare la diversità, ma nessuno può violare ciò che sei.

Maria Ronca, Sociologa

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