Arnaldo Badodi, Soprabito sul divano

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Arnaldo Badodi – con Aligi Sassu, Renato Birolli e Giacomo Manzù – figura tra gli artisti dominanti la scena italiana precedente il secondo dopoguerra.

Coloro i quali, come accadrà successivamente ai colleghi Bruno Cassinari e Giuseppe Migneco, nell’espressione di Renato Barilli nel suo libro L’arte contemporanea, vivono il problema della traduzione delle forme astratto-stilizzate, ‘brute’ ed espressioniste, in quelle astratto-concrete della tradizione picassiana e postcubista: problemi simili, chiaramente riportati alle tendenze del momento, cui gli artisti sono tenuti a far fronte, spesso comune, in nuove relazioni di gusto schematico e dirompente.

Occorre considerare, all’epoca, la revisione critica cui viene sottoposta l’arte europea, stravolta da Cézanne agli Impressionisti, da Van Gogh a Picasso, in un’ottica volta a mettere in discussione i valori tipici della cultura borghese, gli stessi attaccati dall’artista spagnolo in una palese sfida al dichiarato conformismo.

È in questo modo che, a Milano, nasce il gruppo giovanile Corrente, diretto da Renato Birolli, cui aderisce lo stesso Arnaldo Badodi, in nome di una ribellione morale contro le azioni fasciste in Spagna, l’insofferenza verso i tedeschi e la loro incidenza in ambito culturale ed artistico; diretto contro il falso classicismo ufficiale ed estrinsecantesi paradossalmente anche attraverso polemiche tendenze di stampo neo-romantico.

Badodi non parteciperà alla redazione della rivista Il ‘45 – gli artisti che vi appartengono, di estrazioni diverse, si confrontano proficuamente fino a giungere ad un graduale progresso da cui trarranno origine sia il neorealismo sociale che l’astrattismo; Lionello Venturi, storico e critico d’arte, tenterà un compromesso in occasione della Biennale di Venezia del 1952, affermando la volontà di alcuni dei protagonisti di non essere né astrattisti né realisti, sottraendosi a quella innaturale classificazione colpevole di annichilire potenzialità e spontaneità creativa – poiché fatto prigioniero dopo aver partecipato alla battaglia del Don, nel 1943, e in seguito morto a causa del tifo.

Uno stile suggestivo, quello di Badodi, sospeso tra disegni stilistici pre-realisti ed espressionismo post-impressionista, che predilige temi circensi, come ne Il circo, rielaborati sotto un aspetto fiammeggiante, stilisticamente animato da surreali figurine di statica vivacità, ma non rinuncia a tali suggestive manifestazioni nemmeno nel caso in cui si ritrovi a ritrarre nature morte che di fatto non lo sono.

Non possono esserlo, poiché gli oggetti inanimati di Badodi, al pari di quelle raffigurazioni come La casa gialla, o La camera da letto, di Van Gogh, manifestano in realtà una vita propria fatta di pose e colori.

E se dagli armadi traboccano vestiti apparentemente sconvolti da incipienti decluttering, sofà, sedie, ma anche i pavimenti, si animano di oggetti disordinatamente scomposti ma non esattamente abbandonati, talvolta risultato di una ricerca spasmodica, altre semplicemente gettati con la discreta noncuranza di chi certo, prima o poi, di poterli recuperare.

Un artista spesso associato a sentimenti di inquietudine e latenti malinconie: anche il critico d’arte Marco Valsecchi ne identifica le opere attribuendovi quel patetismo ironico tipicamente charlottiano.

Si dice che Badodi, probabilmente ereditando il sottile gusto dell’inquadratura dal padre fotografo, abbia in effetti riprodotto scorci sospesi su di una discreta fissità, che egli riporta tramite diretti fotogrammi.

Ciò che risulta palesemente ravvisabile, in ossequio ad un carattere solitario e riservato, è comunque la profonda espressività di una dimensionale emarginazione, che lotta tra imminenti assenze e ventilati addii.

Badodi scompare molto giovane, appena trentenne, disperso durante la campagna di Russia del 1943, lasciando un tetro presagio della sua esistenza ne Il suicidio del pittore, quasi un triste monito risalente al 1937, letteralmente nascosto sul retro di un altro dipinto, quest’ultimo relativo ad una scena solo apparentemente affollata, in cui i personaggi, se attentamente osservati, appaiono imprigionati in una mesta individualità priva di interazioni.

E come colonna sonora, non stonerebbe La sedia di lillà, di Alberto Fortis…

Arnaldo Badodi (1913-1943), Soprabito sul divano, 1941, olio su tela, 60×70 cm., Collezione Giuseppe Iannaccone
Immagine: web

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