Betlemme

DI GIOVANNI BOGANI

Nei giorni intorno a Natale, Giuseppe portò Maria, prossima a partorire, da Nazareth a Betlemme. Ci dovevano andare per forza: così dice il Vangelo di Luca. L’imperatore Augusto aveva ordinato un censimento in tutto l’Impero romano, e anche gli ebrei erano obbligati a registrarsi.

Ma perché proprio a Betlemme? Giuseppe e Maria vivevano a Nazareth, un paesino minuscolo in Galilea. Ma Giuseppe doveva farsi registrare nel luogo di origine della sua famiglia: Betlemme.

Non mi ero chiesto mai quanto fosse durato il loro viaggio. Cerco su Google Maps: c’è una Betlemme, in Galilea. Dista solo diciotto chilometri.

Ma non è quella. La Betlemme che dovevano raggiungere era in Giudea, a dieci chilometri da Gerusalemme. Guardo ancora Google Maps: da Nazareth, ci sono centocinquanta chilometri.

Un massacro, con una donna con una pancia che sta per scoppiare. Ma il Messia doveva nascere in “quella” Betlemme, la città in cui era nato Davide, quella in cui secondo una profezia biblica doveva nascere il Messia. E allora giù, polvere, fatica, e una città strapiena, dove non c’era un buco per dormire.

Chissà come erano stravolti di fatica: e senza un alloggio per dormire. Chissà Giuseppe di che umore era. Scopro che in realtà nessun Vangelo lo descrive come un vecchio.

Forse addirittura era anche lui un ragazzo, come Maria: all’epoca le ragazze venivano date in sposa a tredici anni. Chissà che faccia avevano davvero. Chissà cos’era la vita, per loro, prima che uno tsunami assurdo venisse a travolgerla, per sempre.

Che poi, un bambino è un miracolo enorme per chiunque, per chiunque è il Messia, il figlio di Dio. Chissà che cosa continuerà a rappresentare, per l’umanità, questa storia, anche quando Natale sarà diventato un grande Black Friday.

Ma non ci sono tracce storiche di quel censimento. E allora, chissà se portare Maria a Betlemme, per partorire, non fu un modo, per Giuseppe, di proteggerla dalle voci, dai pettegolezzi, dalla lapidazione.

Una ragazza incinta, misteriosamente incinta, che si proclamava ancora vergine. Magari Giuseppe salvò l’onore di una ragazza sedotta e abbandonata. Come fa Gino Cervi in un bellissimo, vecchio film di Blasetti, “Quattro passi fra le nuvole”.

Nel film, lui è un rappresentante di dolciumi; lei – Adriana Benetti, ventitré anni all’epoca – è incinta, e sta tornando a casa, pur sapendo che la ripudieranno, e che finirà in mezzo a una strada. Gino Cervi accetta di fingersi il marito: protegge dall’ira dei genitori la ragazza. Che si chiama Maria.

Chissà che occhi aveva, la Maria di duemila anni fa. Se Giuseppe la guardava e si inteneriva. Se lei ricambiava lo sguardo, e lo amava in silenzio, per il suo gesto di generosità.

Immagine tratta dal web

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