Ciò che resta nell’ abbraccio dei luoghi

DI MARCO ZUANETTI

Nel dipanarsi del tempo e dello spazio, ci ritroviamo trascinati dal corso ineluttabile della nostra esistenza, con le radici immerse nel suolo fertile dei luoghi in cui siamo nati.

Siamo, ineluttabilmente, figli di quei monti di Pieve di Cadore, scolpiti nel tessuto stesso della nostra identità.

Questi luoghi hanno plasmato le nostre percezioni, alimentato i nostri sogni, e plasmano ancora le trame dei nostri pensieri.

L’essere umano è una congiunzione armonica tra l’anima e la terra, e il luogo che ci ha accolto sin dall’origine è la matrice stessa della nostra esistenza.

Non siamo solo creature biologiche, ma anche creature di territorio, di simboli, di cultura, e in ogni pietra di quei monti risiedono segreti millenari custoditi gelosamente dalla memoria collettiva.

Eppure, l’uomo è un essere nomade, e il richiamo del mondo esterno spesso ci ha spinti a lasciare le nostre radici e ad allontanarci dai luoghi familiari.

È stata l’urgenza di oltrepassare i confini noti, l’ambizione di conoscere l’ignoto, che ci ha fatto allontanare da casa.

Ma l’anima nomade non è fatta per fermarsi, è destinata a danzare con l’universo, attraversando spazi e tempi.

Ogni luogo che incontriamo, che abitiamo o desideriamo, è una dimensione della nostra mente, un’organizzazione simbolica di tempo, memoria e oblio.

Così, quei monti di Pieve di Cadore non sono solo una disposizione di spazio fisico, ma anche un crogiolo di emozioni, di eventi passati e di visioni del futuro.

Il luogo diventa “antropologico” proprio perché è abitato, plasmato dalla presenza umana, e assume un significato profondo in virtù dei legami che intreccia con coloro che vi si sentono parte.

Siamo come rami di un albero, che, mentre crescono e si estendono lontano, restano legati alle radici da cui hanno avuto origine.

Nel presente, la nostra prospettiva sulla restanza si è trasformata.
I paesi, quei luoghi affacciati sul futuro, possono essere visti come potenziali fari di cambiamento, superando l’idea di essere solo custodi del passato.

Non si tratta più di conservarsi immobili nelle rovine del tempo, ma di rigenerarsi, di rinnovarsi, per costruire una realtà diversa e sostenibile.

È nell’immaginazione di un futuro diverso che risiede la speranza, la possibilità di vedere questi luoghi non come prigioni del passato, ma come terreni fertili per nuovi modelli di sviluppo, per stili di vita più armoniosi, per un uso più consapevole e responsabile delle risorse e per un profondo rispetto del territorio e dell’ecosistema in cui siamo immersi.

Così, tra le montagne di Pieve di Cadore, dove l’ombra dei ricordi si fonde con la luce del futuro, possiamo scoprire una nuova prospettiva sulla restanza.

È nel perpetuo fluire della vita, tra l’eterno ritorno a casa e il continuo allontanarsi, che troviamo la chiave per abbracciare appieno il significato dell’esistenza e del nostro legame indissolubile con la terra che ci ha dato i natali

Immagine tratta dal web

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