Contratto Scuola 2019/2021: pochi, maledetti ma subito. Si parli ormai del rinnovo triennale 2022/2024

di Salvatore Salerno

Siamo di fronte ad una dilazione oltre ogni limite del Ministro Istruzione, del governo e dirigenti sindacali nazionali, forze politiche non pervenute.
Facciamo un po’ di storia recente. Poca storia, per carità, sperando di non annoiare ma necessaria per collegarla al contratto ampiamente scaduto e che giace ancora nei tavoli di contrattazione dell’aran con i soli sei sindacati abilitati a firmare, cioè cgil-cisl-uil-snals-gilda-anief.
L’ultimo rinnovo del contratto collettivo nazionale per docenti, amministrativi e collaboratori scolastici risale al 2018 e aveva decorrenza dal primo gennaio 2016. Prima di allora il blocco totale dei contratti pubblici che cristallizza, con Tremonti e Monti, la povertà degli stipendi nel pubblico e nel privato come scelta politica di quei governi. Allora avevano deciso di far ricadere prevalentemente sulle spalle del lavoro e delle pensioni il peso della grande crisi economica globale del 2008, di origine speculativa, arrivata in Italia negli anni immediatamente successivi per effetto del maggiore indebitamento pubblico.

Tutti si spera ricordino l’effetto Grecia, la presunta salvezza dell’Italia, il blocco di tutti i contratti del pubblico impiego, per la scuola perfino la cancellazione dal calendario dell’anno 2013, mai recuperato, per il semplice passaggio nelle fasce superiori da anzianità di servizio.
Niente contratti dunque per nove anni fino al 2018, con una perdita secca in termini di potere d’acquisto, per la sola inflazione programmata, di circa il 10% del valore degli stipendi, molto di più in termini reali. Il periodo in considerazione, ma arriviamo subito ai giorni nostri, è stato un periodo di scarsa o nulla inflazione, cioè aumento del costo della vita, molto diverso da oggi.
Ebbene, nel 2018, arriva il primo rinnovo del contratto, in termini economici una media di poco più di 40 euro netti per tutto il periodo primo gennaio 2016 e fino al 31 dicembre 2018.
Fine della piccola storia recente e passiamo alla cronaca 2018/2022. Si riparte con la promessa triennale del rinnovo contrattuale sulla parte economica e normativa facendo però tesoro di quanto la parte datoriale (il governo) era riuscita a fregare i suoi lavoratori dipendenti (docenti e ata) nel contratto precedente.
Quattro soldi di aumento dopo nove anni di zero assoluto e con una pizza per una sola persona consumata in strada di vacanza contrattuale. Il contratto 2016/2018 concede la pizza al tavolo con bibita per l’intera famiglia ma solo una volta al mese, quei 40 euro netti o giù di lì, almeno fino a dicembre 2018.
Ok, tutti ci prendiamo lo schiaffo mentre tv e giornali esultano per gli 80 o 90 euro lordi, quasi 100 euro per le superiori a fine carriera, sempre lordi. Dai che ci arriviamo, le tre cifre, contratto firmato nel 2018 per il trienno precedente. Dal primo gennaio 2019 riparte la nuova contrattazione, saranno rose e fiori, i Ministri Bussetti e Fioramonti per primi parlano di tre cifre, Ministri pro-tempore, molto pro-tempore, dirigenti sindacali felici, le tre cifre che come tutti sanno partono da 100 e arrivano a 999 euro. Tre cifre, lordi. Ma perché nessuno lo dice?
Veniamo a questa farsa delle tre cifre che dura da tre anni e due mesi con la prima mossa della legge di stabilità del dicembre 2018 quando il Parlamento approva la sua consueta legge di stabilità, cioè mette nel bilancio dello Stato tutti i soldi che dovrà spendere negli anni successivi, c’è anche il rinnovo dei contratti scaduti e lo stanziamento previsto per il 2019.
In un Paese normale si inizia dunque una contrattazione da gennaio 2019 e si chiude prefigurando un triennio, tanto ti posso dare per scelta del massimo organo deliberante, il Parlamento, per il 2019, poi ti prometto e scrivo che tanto mi impegno a darti per il 2020 e per il 2021, lo metto nel milleproroghe, mantengo la promesso nella legge di stabilità per il 2020 e per il 2021.
Non è così difficile come vogliono far credere. Si fa un tavolo, si fornisce l’Aran (organismo burocratico che tratta con i sindacati a nome del governo perchè i Ministri sono troppo occupati) di un atto di indirizzo, i sindacati presentano la loro piattaforma come rappresentanza di una maggioranza di lavoratori dipendenti (nel caso della scuola una cifra vicina al mezzo milione ha una tessera sindacale in tasca, attenti aveva e ha ancora).
Un discorso che parte dal primo gennaio 2019 per un contratto già scaduto, con la sola indennità di vacanza contrattuale (quella pizza consumata in strada e per una sola persona) quanto tempo può durare? E qui siamo al punto. Su quei soldi a disposizione non è che ci vuole molto, si mettono insieme stanziamenti in bilancio del governo, approvati dal Parlamento, la piattaforma di rivendicazione sindacale. Questi due soggetti, in teoria entrambi interessati al bene dei lavoratori per il consenso alle parti politiche che vanno nelle Istituzioni e per la tessera sindacale volontaria contrattano e poi, da persone serie e responsabili, chiudono un accordo. In un Paese normale.
Invece cosa accade. La pandemia? No, per favore, non c’entra nulla con il rinnovo di un contratto per la parte economica, non c’entra nulla a maggior ragione quando quel contratto è scaduto dal primo gennaio 2019, non c’entrerebbe nulla neanche nel 2020, nel 2021, adesso.
Si, certo, c’è anche la parte normativa nei diritti e nei doveri. Importante si, molto importante oggi perché c’è la DAD, la povertà educativa, il carico di lavoro aumentato e quello che si vorrebbe ancora aumentare, non per fare scuola ma burocrazia e formazione, per l’arruolamento, i concorsi, le ferie, i permessi, la pedagogia, la dedizione, l’affettuosità, la scuola di comunità, gli psicologi, il merito, i bonus, il middle management, il precariato, un Ministro che non ha nulla da perdere e totalmente dipendente da una fondazione privata, gli attacchi ai docenti inadeguati, i colpevoli della dispersione, la priorità alla scuola, lo scibile umano.
C’è quella parte certo ma non sarebbe meglio metterla da parte e parlarne per un contratto collettivo nazionale 2022/2024 visto che siamo nel 2022?
Chiudere invece entro febbraio 2022 il precedente contratto sospeso 2018/2021 per la sola parte economica? Fare arrivare subito arretrati e nuovi stipendi seppure miseri, pochi, maledetti e subito. La ragione di questa richiesta è sotto gli occhi di tutti, l’inflazione galoppa, quei soldi stanziati non si muovono di un solo euro dopo tre anni e passa, solo briciole annunciate per la dedizione che fanno aumentare quelle previste di una decina di euro, lorde, ripetiamo lorde.
L’unica persona che gode di più in questo inutile e lungo tira e molla è sempre il Ministro dell’Economia che quei soldi li tiene in cassa, il Ministro Franco. Vediamo di impegnare invece questo Ministro a trovare i soldi per il rinnovo 2022/2024 a partire dal 2022 che è il nostro tempo, non è più ieri.
Ecco il senso di un titolo e di un piccolo ragionamento, tanto quanto basta e avanza in un articolo che la maggioranza dei docenti e ata faranno fatica soltanto per leggerlo fino in fondo. E, forse, il vero grande problema è questo se è vero, com’è vero, che soltanto il 6% di loro ha scioperato e che la maggioranza chiede l’aumento ai sindacati (una parte dei colpevoli nei loro gruppi dirigenti di oggi) anziché al governo o a quelli che hanno votato.
Si vota fra un anno, ma nessuno pensi di risolvere solo con quel voto, a qualunque partito sia rivolto. Lo abbiamo visto più volte. Il male della scuola pubblica è la mancata partecipazione di chi ci lavora nella politica e nel sindacato costantemente e non quando si vota o si eleggono le RSU inutili e dannose. Chiunque ne fa sempre di più quello che vuole e vuole umiliarla con le facce di Ministri inadeguati rimanendo dietro le quinte. E’ un processo lungo per cambiare e stanno arrivando prima loro con i loro obiettivi di esclusivo interesse economico.

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