Daniele Liverotti, nato sotto il segno del pop

DI GINO MORABITO

Arriva, atteso, Un lieto fine. La spiccata sensibilità di Daniele Liverotti declinata in un brano che risuona di libertà artistica. Esponente del genere cantautorale, il nostro insegnante di piano e solfeggio si avvicina alla musica all’età di sei anni. Diverse le partecipazioni a prestigiose rassegne canore, ma un’unica forma espressiva modulata attraverso l’emozione.

Un’inconfondibile cifra stilistica, quella del trentacinquenne musicista, che si identifica nel segno del pop.

Partito da Civitanova Marche in provincia di Macerata per giungere a Un lieto fine. Parole e musica per ritrovarsi a vivere quelle passioni e gli aspetti in comune, che hanno dato vita a un legame che sarebbe dovuto durare per sempre.

«La canzone è un’esortazione, rivolta alla persona amata, a ritrovarsi in tutte le cose belle che si concludono con “un lieto fine”. Quel lieto fine che, nella realtà, non si è riusciti a raggiungere.»

Tutta la malinconia di un amore finito che, nell’alchimia di una canzone, può vivere in eterno.

«“Un lieto fine” è il titolo del mio nuovo singolo. Una canzone che si nutre di versi, nei quali chiunque abbia vissuto quella passione, che ardeva così forte e oramai è spenta, si può rispecchiare: “Cercami in un film che lascia senza fiato / Nel sole stanco che va a dormire / O nei tuoi sogni, ma tu cercami… in un lieto fine…”.»

L’arte è nutrimento per lo spirito, e la musica è arte.

«Credo fermamente nel potere salvifico dell’arte. Mi sono avvicinato alla musica quando avevo appena sei anni, dapprima con lo studio del pianoforte, poi con il canto.»

Una cifra stilistica, quella del cantautore Daniele Liverotti, che si identifica nel segno del pop.

«Amo lo stile pop, la canzone d’autore, e in alcuni dei miei brani compaiono anche sfumature funky. Mi piace molto la poesia e, quando scrivo, peso ogni singola parola, la assaporo, ascolto come suona nella mia testa.»

Musica come linguaggio universale per relazionarsi con il mondo esterno. Un mondo sempre più orientato in una direzione opposta a quella artistica.

«La musica mi ha dato moltissimo: mi ha portato a conoscere persone e luoghi che non avrei mai conosciuto, aiutandomi a entrare in relazione con il mondo esterno. Un mondo – ahimè – ormai regolato dalle logiche di potere e dalle leggi di mercato.»

L’omologazione di un’industria discografica specchio di una società destinata all’anonimato, in balia di sé stessa.

«Oggi la musica è puro business, priva di emozioni, ma piena di narcisismo.»

Si sta perdendo di vista il senso profondo di quella riflessione più intima, che diventa storia di ognuno.

«Tutto è basato sulle tendenze del momento! Per l’industria discografica è più importante che il brano, dopo quarantacinque secondi, abbia subito un ritornello e che venga utilizzato un certo tipo di parole, piuttosto che un testo profondo e una melodia che colpisce.»

È necessario un cambio di rotta, dove l’obiettivo da raggiungere torna ad essere il cuore.

«Scrivere libero dalle logiche di mercato, essere me stesso e arrivare al cuore della gente. Se, con una mia canzone, riuscissi a far baciare due che si vogliono bene, o rappresentare lo stato d’animo di una o più persone, potrei affermare di aver avuto successo. Perché è questo il fine della musica: emozionare e rappresentare l’animo della gente.»

 

 

 

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