Di nuovo insieme

DI CARLO MINGIARDI

Era di mattina presto, intorno alle 8. Quella fu l’ultima colazione che feci in questo mondo.
Avevo appena rimesso piede in casa dopo il quotidiano giro in bicicletta, lo faccio sempre, sulla pista ciclabile intorno al parco dell’oliveto.

Mi mette di buon umore, serve a scacciare via i cattivi pensieri e allontanare il ricordo doloroso di Luciana.
Pioveva quelle goccioline piccole ma fastidiose, dopo aver fatto un po’ di allungamenti per la schiena malandata, mi infilo sotto la doccia ma l’occhio mi va subito sull’accappatoio di mia moglie.

L’ho lasciato li’ appeso a fare compagnia al mio, non so neanche io perché. Con i capelli ancora bagnati vado in cucina, mi preparo uno yogurt alla pappa reale e una spremuta d’arancia insieme ad un toast integrale al formaggio. Non potevo immaginare che quella sarebbe stata la mia ultima colazione.

La pioggia cadeva ancora insistente, un Marzo pazzerello come tanti altri, il sole era rimasto ancora a sonnecchiare dietro le nuvole grigie.
Eppure le previsioni davano sole appena velato su tutta la regione, non ci azzeccano mai una volta.

Un sibilo inquietante richiama la mia attenzione e mi affaccio incuriosito alla finestra, a circa trecento metri, vedo un vortice di polvere mista a oggetti indefiniti che gira vorticosamente su se stesso. All’inizio non capii bene cosa fosse, ma dopo qualche secondo si accese la lampadina del mio cervello che schiarì ogni ragionevole dubbio.

Era una tromba d’aria, una cosa sproporzionata, enorme, minacciosa. Soprattutto si avvicinava inesorabilmente verso casa, non dava alcun segno di cambiare traiettoria.
Rimasi letteralmente pietrificato dal terrore.

Da quel momento un avvicendarsi di pensieri fulminei e disconnessi mi attraversarono come una freccia lanciata da un arco.

“ Non faccio in tempo a prendere niente, non riuscirò a fuggire e rimarrò intrappolato in casa, e verrò risucchiato da quel mostro vorticoso, speriamo di non sentire dolore.
Cazzo avevo appena finito di pagare l’auto, non l’ho assicurata contro i tornado!
E poi sto per schiattare!
Mia figlia dove diavolo sarà in questo momento, speriamo che sia all’altro capo della città.

Che cosa resterà di me, mi ricorderà qualcuno per quello che ho fatto, lascerò dei buoni ricordi?
Ho litigato con mio fratello, da un secolo non ci parliamo più, non avrò tempo per chiedergli scusa.
Sentirò dolore?
Al lavoro come faranno senza di me. I miei operai come porteranno avanti il cantiere?

L’unica cosa positiva è che forse rincontrerò Luciana. Il mio amore, perché te ne sei andata così giovane, avevamo una vita da fare insieme. Forse la rivedrò.
Il cane, il mio cane… E’ in giardino! Come faccio a prenderlo, non c’è più tempo!”

Esco dalla cucina in un nano secondo, attraverso il porticato e inizio a urlare squarciagola: “Geppy, Geppy, Geppyyyyyyy…!” nessuna risposta.
Il frastuono era diventato assordante. Forse sarà scappato già via, avrà saltato la recinzione e si sarà messo in salvo da qualche parte. L’unico rimbambito a stare ancora fermo sono io.

Mentre facevo queste considerazioni, quel mostro si era avvicinato inesorabilmente all’abitazione. Risucchiava nel suo vortice perverso qualsiasi cosa gli capitasse sul cammino, le finestre esplodevano in frantumi, gli alberi venivano sradicati come fuscelli, il frastuono sembrava un urlo disumano.

Quando passò sopra la casa, strappò via ogni granello dell’intonaco, risucchiò gli infissi delle finestre, tegole, travi in legno con una facilità assoluta.
La visione era terribile.

Continuava a venirmi incontro inesorabilmente, ma ero pietrificato dal terrore, il cervello mi diceva di scappare via ma il mio corpo non rispondeva a nessun comando. Il rumore era così atroce, da strappare via i timpani dalle orecchie.

A un certo punto iniziai a perdere il contatto con l’erba del giardino, come se la forza di gravità fosse scomparsa all’improvviso, fui sollevato in quella spirale grigia mista a oggetti di ogni tipo come fossi una piuma.
Avevo l’impressione di stare in un girone dantesco dell’inferno.
All’improvviso tutto diventò confuso, nero, sfocato, poi il niente.

Sono morto, sono morto, sono morto…
Non riuscivo ad aprire gli occhi, sembravano sigillati col silicone. Sentivo le gambe e le braccia attraversate da scosse elettriche, tutto il corpo aveva perso consistenza cellulare, i pensieri non riuscivano a scaturire, era come fossero intrappolati dentro sabbie mobili.

L’unica percezione che avevo era quella di una musica psichedelica che veniva da molto lontano.
Poi la sensazione di un bacio giovanile regalato da morbide labbra conosciute. Avevo ritrovato la mia Luciana.

Immagine tratta dal web

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