Di palo in frasca, seguendo i pensieri

DI CARLO MINGIARDI

La passione per il modellismo me l’ha trasmessa mio padre, mi comprava sempre macchinette, trenini, miniature. Allora accatastavo dei cuscini per terra, li coprivo con una coperta verde in modo di riprodurre un paesaggio collinare, e iniziavo a giocare a soldatini.

Non mi bastava però, volevo creare anche l’atmosfera adatta, quindi prendevo il mio mangiadischi arancione e mettevo: “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones…” di Gianni Morandi.
Allora era tutto perfetto, iniziava la battaglia, morti, feriti, la piccola ambulanza con i barellieri, il mio mondo era quello.

Ho cercato di continuare a vestirlo sempre quel mondo lì, con il grembiulino nero, il colletto bianco e il fiocco azzurro. È sincero, infatti mi risulta difficile dire bugie, soprattutto nei miei racconti, che senso avrebbe raccontare cazzate. Quando ne dico una, mi si legge in faccia, mi scoprono immediatamente.

Credo che la sincerità sia una delle virtù più nobili dell’essere umano, purtroppo è praticata da pochi, è un esercizio difficile perché ci vuole coerenza, nobiltà d’animo, coraggio.

Quando è nata l’idea di fare una raccolta dei miei racconti e farne un libro, ho eliminato senza alcuna remora quelli dove non ero stato sincero fino in fondo, non sarebbe stato rispettoso nei confronti di chi legge.

Mi sono detto: il libro devo essere io, con tutto quel bagaglio di contraddizioni che mi porto addosso. Con le paure, le sconfitte, i dolori, il pessimismo.
Stamani ho aperto gli occhi molto presto, quando ho preso il cellulare per vedere l’ora, la risposta è stata 05.50, volevo riprender sonno ma non c’è stato verso.

Mi sono messo a pensare al prossimo pezzo che potevo scrivere, la mente girovagava tra foreste di neuroni, saltellando di palo in frasca.
Poi è riaffiorato, come spesso mi succede, un periodo molto difficile che ho vissuto, cerco sempre di tenerlo nascosto ma viene sempre a galla come il sugherino di una canna da pesca.

Mi vengono i brividi a ripensarci, Daniela e Alessio mi hanno aiutato parecchio. Soprattutto mia moglie, mi ha aiutato a buttare giù quel castello di carte che mi ero creato con le mie ansie ipocondriache.

Lei è una donna straordinaria.
Pratica, risoluta, coraggiosa, io non saprei proprio cosa fare senza la sua presenza, è rassicurante, sicuramente il pilastro della famiglia, il collante.

Quando la vidi la prima volta passare davanti al bar che frequentavo, avevo diciotto anni, aveva i jeans attillati, un maglioncino nero sopra l’ombelico, scarpe da ginnastica bianche, una cascata di riccioli castani, bella come il sole, non mi degnò neanche di uno sguardo. Allora la seguii fino a casa sua per sapere dove abitava, scoprii che viveva nello stesso palazzo di un mio caro amico.

Quando lo raccontai a Roberto, non mi disse nulla, ma era sua sorella.
In seguito ci abbiamo sorriso tanto su questa cosa.
Le regole sulla struttura di una storia, dicono che deve esserci una sequenza logica su quello che si racconta. Non è questo il caso, difatti l’ho intitolato “di palo in frasca”. Oggi improvviso, come faccio con la mia band su un pezzo blues.

Ritornavo da scuola, quarta elementare, a quei tempi ci andavi a piedi e non ti accompagnava nessuno. Il mio era un tragitto di tre chilometri, ma allora forse la gente era più buona, ci si poteva fidare di più.

Pioveva quel giorno, ero quasi arrivato, quando da dietro si avvicinò uno della quinta, non disse niente, mi riempì di botte e basta.
Mi rimase impresso quell’episodio, non capii mai la ragione di quella violenza gratuita.

Credo sia stato quello il motivo per cui in vita mia non ho mai fatto a cazzotti con nessuno. Detesto quegli atteggiamenti, quando posso faccio sempre da paciere, a volte mi sono trovato coinvolto in qualche baruffa, ma ho sempre cercato di dividere le parti.
E’ così radicato in me questo concetto, che l’unica sculacciata che ho dato in vita mia ad Alessio mi sconvolse.

Eravamo in campeggio in Sardegna, una litigata tra cuginetti, persi il controllo e gli mollai un bella manata sul sedere.
Ricordo che mi allontanai e mi misi a piangere per il rimorso.
La violenza è una brutta bestia, credo che sia uno peggiori mali che affligge il genere umano, ma non voglio addentrarmi in lunghe disquisizioni sull’argomento. Mi fa schifo e basta.

Sono le 06.35, adesso mi alzo e vado a fare colazione.
Sento Daniela in soggiorno che parla con Cettino, il nostro gatto nero cieco da un occhio. Il profumo di caffè arriva fino in camera da letto.
Alle 7,10 sono già di fronte al mio portatile e sto scrivendo queste sconclusionate parole.

Mi chiedevo in merito alla pubblicazione che vorrei fare dei miei racconti, se poi in definitiva risulteranno interessanti, ho dei seri dubbi.
Che cosa gliene può fregare alla gente di tutto quello che mi è capitato in vita mia, dei miei personaggi di fantasia, dei miei amati cani, delle pseudo poesie che ho cercato di assemblare con tanta fatica.

Forse è la domanda che si pone ogni scrittore, ma io non sono uno scrittore e allora forse ho una giustificazione plausibile per fare questo passo avventato.

Ho trovato una bella foto che vorrei mettere in copertina, ho trovato anche il titolo da dare a questa strampalata raccolta di pensieri: A PIEDI NUDI.
Il motivo lo troverete nell’ ultimo capitolo, quello più importante.
Non ho grandi aspettative, ho imparato col tempo a farne a meno, troppe delusioni.

Però sto vivendo questi giorni con un entusiasmo da scolaretto alla sua prima gita scolastica.
Quella in prima elementare la facemmo a Collodi, il paese di Pinocchio, ci portarono in un parco bellissimo, pieno dei personaggi della favola.
Passammo tutto il giorno lì. Per fare il fighetto comprai un pacchetto di sigarette, le Roy con filtro e le offrivo a tutti, non sapevo neanche fumare.

C’era una ragazzina bionda, stava in classe con me, si chiamava Anna, era bellissima. Per la prima volta in vita mia presi una cotta colossale.
Facevo lo stupido per cercare di attirare la sua attenzione, sinceramente non ricordo se ci riuscii.

Adesso devo uscire per fare dei giri: banca, farmacia e edicola perché mi ha mandato un messaggio l’edicolante che è arrivato un nuovo modellino della Ferrari, le colleziono tutte.

Mi piace rimanere bambino in queste cose.
Non voglio crescere, sto bene così.

Immagine tratta da Pixabay

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