Diario di un anno interrotto

di Vincenzo Soddu

Tutto è cominciato così, talmente così sottotono che ora appare soltanto come un pallido ricordo.

5 marzo. Oggi niente scuola, anche se non si capisce ancora se riusciremo a organizzare qualche misteriosa lezione online oppure se ci faranno recuperare questi inattesi giorni di sosta durante le prossime vacanze pasquali. Anche perché non è che dieci giorni regalati all’inizio di marzo e con l’obbligo della reperibilità possano offrire molte alternative, tipo partire per i Caraibi… anche perché il Corona magari c’è anche lì.
Bisogna organizzarsi. C’è da mettere in ordine la scrivania, oberata da pile di cartacce accumulate in settimane di febbrili attività, c’è da andare alle Poste per pagare la multa arrivata ieri.
Arrivato alla piccola filiale del Palazzo Regionale vedo tutti i clienti fuori in fila. “Che succede? Non si entra?”, faccio, un passo avanti per avere una risposta. “Si entra solo per prendere il numero e poi si aspetta fuori. Applichiamo soltanto le disposizioni…” Una vecchietta chiede se può aspettare dentro, al caldo. Le viene concesso. D’accordo. Arriva il mio turno e torno a casa.
Provo a rilassarmi. Arriva il messaggio dalla Società sportiva… gli allenamenti sono sospesi a causa del virus. Apro il Registro… bisogna organizzare le attività didattiche tramite la piattaforma. Accendo la radio… anche le udienze nei tribunali verranno sospese.
Basta. Chiudo tutto. Se devo rimanere isolato dal mondo almeno voglio illudermi che sia io a volerlo.

6 marzo. Sono soltanto due giorni di astinenza e già si avvertono i primi pericolosi sintomi. Dello stress, non del virus. Camminando per le strade capita che le persone spesso frenino inspiegabilmente per piantarsi a non meno di un metro da te, mentre anche gli amici viaggiano con l’amuchina in una mano e la paura nell’altra. Ricordiamoci che ne uccide più lo stress che il Corona tuona l’esperto, ma è tutto inutile. D’altra parte lo stress aumenta proprio perché manca la naturale abitudine ai ritmi quotidiani, scopriamo che la scuola tanto odiata dai nostri figli in fondo era un’ottima valvola di sfogo per i loro bollori e ci troviamo a combattere una nuova aggressività che nasce dall’incertezza e da una preoccupazione che nulla ha a che fare con il virus.

Poveri ragazzi, le videolezioni sono fredde, manca il contatto con il tanto odiato insegnante.

Le società sportive sono chiuse e non offrono spiegazioni convincenti ai loro atleti. La sera sono stato al Poetto, in un campo da basket invecchiato dalla pioggia e dal vento. Magicamente si è riempito, di tante persone in fuga dalle loro case e dalla paura di restar soli con se stessi. E’ stato bello tirare, come quando si era bambini, e i campi erano tutti aperti, senza nessuna direttiva ministeriale a impedirne l’ingresso.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante attività all'aperto

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