Domenico Ghirlandaio, Visione di Santa Fina

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Ciò che colpisce di Domenico Bigordi detto il Ghirlandaio, oltre al noto, illustre allievo Michelangelo – molto divertente l’aneddoto, narrato nel romanzo di Irving Stone, Il tormento e l’estasi, in cui si racconta il curioso espediente attraverso cui il genial giovinetto riesce a farsi ammettere nell’affermata bottega fiorentina ( una delle migliori, frequentata, tra gli altri, da David e Benedetto, fratelli del titolare, oltre che da Bastiano Mainardi, i quali spesso impegnati in importanti collaborazioni, figurano tuttora tra i migliori esecutori dell’epoca ), nonostante le perplessità paterne – è la visione su cui l’artista incentra la propria opera, in ossequio alle richieste della borghesia locale.

Ghirlandaio, infatti, il cui appellativo pare derivi dall’attività del padre, quest’ultimo abile a confezionare ghirlande per abbellire le teste delle fanciulle in occasione delle feste, ha una straordinaria intuizione: egli comprende l’aspirazione della classe emergente ad essere non soltanto ritratta, ma proprio eternata nelle opere realizzate.

Le stesse rappresentazioni a sfondo sacro letteralmente assurgono ad un pretesto per riprodurre visivamente personaggi e protagonisti dell’epoca.

A differenza di Masaccio, il quale ragiona in un’ottica diametralmente opposta, elevando il miracolo ad evento privo di collocazione temporale – passato e presente si riuniscono in un simbolico, a tratti pretestuoso, momento, in cui il fatto in sé perde parte della propria collocazione per vivere e rivivere senza soluzione di continuità – Ghirlandaio fissa nel presente gli eventi svolti, elevandone a protagonisti fondamentali gli ambiziosi committenti.

In tal modo, paradossalmente, egli realizza sia le aspettative del tempo, di coloro i quali non immaginano nulla di più proficuo e allettante, sia il desiderio degli osservatori attuali, sovente interessati a scoprire, tramite i dipinti dell’epoca, scorci svelati di vita quotidiana nonché protagonismi e aneddoti ai limiti del gossip.

Ognuno è consacrato all’eternità, nel ricordo e nell’ammirazione, innalzato ad eminente personalità con un ruolo preciso e definito, politico e culturale, di cui chiunque è tenuto a prendere atto.

Un po’ quello che accade anche nel film Mediterraneo, di Gabriele Salvatores, in cui il tenente Raffaele Montini, interpretato da Claudio Bigagli, richiesto di affrescare la chiesa del paese, cela tra gli angeli i propri compagni, che finiscono così per mostrare le fattezze di Diego Abatantuono, Ugo Conti, Giuseppe Cederna, ecc.

Considerato che il Ghirlandaio opera egregiamente soprattutto in età giovanile, momento considerato come il migliore della sua produzione, merita una particolare menzione la Visione di Santa Fina, affresco realizzato nel 1475 presso la Chiesa della Collegiata a San Gimignano, in provincia di Siena.

Una scena discreta e intima, il cui contesto semplice e spoglio lascia intuire la condizione di estrema umiltà della Santa, alla quale viene annunciata la prossima morte da San Gregorio Magno.

La giovane, appena quindicenne, è assistita da due donne, identificate come la madre e la nutrice, ad ulteriore conferma della prematura scomparsa, ed è adagiata sula tavola di legno che, praticamente, la accompagna lungo tutto il corso della sua breve vita, condizionata da una malattia contratta durante l’infanzia e di seguito rimasta invalida, anche se alcuni affermano si trattasse in realtà in una sorta di punizione autoinflitta, a seguito dell’incontro con un coetaneo che si sarebbe invaghito di lei.

La stessa tavola su cui si racconta, dopo la morte di Fina, sarebbero fiorite delle violette a ciocche gialle, poi apparse anche sulle mura e le celebri torri di San Gimignano, determinandone l’acclamazione a Santa a furor di popolo…

Domenico Ghirlandaio (1449-1494), Visione di Santa Fina, 1475, affresco, chiesa della Collegiata, San Gimignano – Siena
Immagine: web

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