Duccio di Buoninsegna, Madonna Rucellai

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Duccio di Buoninsegna è qualcosa di più di un semplice pittore: Duccio è un narratore prezioso e fuori dal coro, il quale interviene nel momento storico artistico in cui, in quel di Roma e Firenze, gli illustri colleghi Giotto e Pietro Cavallini ricercano una nuova dimensione dell’uomo ritrovato, mentre egli procede in direzione opposta, mantenendo la tradizione bizantina di iconografie e modelli.

La perfezione come massima aspirazione, che non richiede evoluzione o innovazione, al contrario tende a fissare immagini maestose e celebrative caratterizzate da un pieno senso di irrinunciabile eternità.

Definito, da Vittorio Sgarbi, nel volume Il tesoro d’Italia, il più grande dei bizantini, non si può negare come tale definizione gli si adatti in modo esemplare, data l’inestimabile abilità di Duccio nello studiare e rendere, attraverso una originale e brillante esuberanza pittorica, sì, schemi riproposti e ampiamente integrati, ma affinati e perfezionati nel prefigurare una iconografia rivoluzionaria.

Ciò risulta particolarmente evidente nella Maestà del Duomo di Siena, ma emerge, seppur in maniera embrionale, già nella Madonna Rucellai, poiché la grandezza di Duccio consiste non tanto nel proporre all’osservatore qualcosa di inedito, quanto nel permettergli di rileggere e rivalutare, in una prospettiva progredita, quanto ha avuto continuamente a portata di sguardo senza realmente vederlo.

Sottolinea la dimensione divina della maternità, e la celebra trasformandola attraverso elementi di assoluta sacralità rappresentati nella perfezione più assoluta: ricercati nella meticolosa attenzione ai dettagli, degni di un fine miniaturista, e intuitivamente resi secondo un misticismo che non si discosta dalla ripetitività, ma li esalta in una continua ricerca di espressione personale.

È il motivo per cui le sue Madonna, Maestà, Bambino, ma anche angeli, sono diversi da tutti gli altri senza poter essere sminuiti ad una variante sul tema: Duccio vive l’esperienza contemplativa di una astrazione filosofica, e realizza tutto ciò distaccando le emozioni dalle figure, intendendo una inopportuna interpretazione troppo umana delle stesse in contrasto con la storia che si accinge a raccontare.

Non si volge ad umanizzare: desidera divinizzare e consacrare, conscio che l’esperienza della Vergine e del Cristo, pur presenti e vive come storie di una donna e di un uomo, non può rimanere relegata ad un ambito limitato, ma necessità di essere fissata nell’iconica interpretazione di una singolare unicità.

Una Madonna madre, ma ancor più sacra e regina – non solo madre come la vedranno altri autori coevi – come egli ritiene sia posta nel luogo più sacro e immaginabile in cui è assunta al termine della propria vita terrena.

Un’estetica personale ed esclusiva, elaborata all’insegna di approfondite, introspettive ricerche, in grado di conciliare la viscerale attenzione particolaristica con la devota attenzione ad una superba narrazione.

Di rilievo anche il fatto che la Madonna Rucellai venga commissionata da una confraternita fiorentina ad un autore senese, specie nel periodo in questione, in cui tra Firenze e Siena non correva certo buon sangue, a dimostrazione dell’alta considerazione di cui godeva l’artista non solo all’interno della propria città natale…

Duccio di Buoninsegna (1255 c.-1318/19), Madonna Rucellai, 1285, tempera su tavola, 450×290 cm., Firenze – Gallerie degli Uffizi
Immagine: web

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