È accaduto

DI ANTONIO MARTONE

Vidi le strade solcate da erbacce e detriti. Non c’era anima viva: soltanto scheletri di cemento e mattoni facevano da orizzonte al mio sguardo. Come vuote occhiaie, le finestre fissavano l’aria trafitta di nulla annerito. I tetti, sventrati dalle bombe, pendevano come cappelli malconci.

Spaziando con lo sguardo, scorgevo soltanto spazi desolati. Le fontane, secche e incrostate di sporco, non cullavano più i desideri dei passanti. I monumenti devastati erano coperti di graffiti senza colori. I negozi sembravano grotte. Le vetrine in frantumi mostravano innumerevoli lame – come denti di una bestia ferita. I cartelli stradali indicavano direzioni senza senso e i parchi
nascondevano segreti e paura.

I soffitti delle chiese, aperti al cielo, lasciavano entrare la pioggia e la neve. I campanili, se non crollati, non suonavano più.
La città giaceva in un silenzio disumano. Le armi avevano portato via gli esseri umani, e ora solo un vento sporco di fumo gridava i suoi rimproveri agli uomini.

Gli stessi oggetti che un tempo avevano un significato vitale, giacevano in un cantuccio abbandonati e rattrappiti: vecchie fotografie sbiadite, libri con le pagine ingiallite, sedie rotte. Le tracce della vita passata si erano ormai ritirate nell’oceano infinito del nulla. Le strade vuote, i muri delle case sbrecciate. Le stelle guardavano dall’alto con occhi indifferenti.

Sotto un baldacchino di macerie, scorsi un piccolo rifugio che una volta aveva protetto anime fragili. Ora era un guscio vuoto. Mi avvicinai con cautela, quasi temendo di disturbare il sonno di coloro che avevano trovato riposo lì. Entrando, fui avvolto da un silenzio cupo, interrotto solo dal cigolio del legno marcio e dallo scricchiolio dei miei passi incerti.

Le pareti sbrecciate erano testimoni muti di una tragedia di proporzioni inimmaginabili mentre il soffitto sfondato lasciava intravedere un frammento di cielo nero.
In un angolo, trovai un vecchio orologio da parete, le lancette ferme a segnare un tempo insensato. Attraverso una finestra senza vetri, qualche goccia di pioggia piangeva lacrime di pietà su una città dimenticata dagli dei. Il vento ululava tra le crepe delle case come un lamento disperato, portando con sé i sussurri dei fantasmi che vagavano tra le rovine.

Spingendo lo sguardo dentro una casa sventrata, sfiorate appena dalla luce delle stelle, vidi la sagoma di un uomo e una donna allungarsi come fili di seta. Quelle figure mi apparvero come fantasmi a cui non potevo credere. Sì, era soltanto il mio delirio. Immaginai le loro mani, una volta forti e sapienti, muoversi ora come automi, dimentiche del loro ruolo originario.

Le vidi ora stringersi attorno a tazze di caffè freddo, a sigarette che bruciano lentamente, a parole che si perdono nell’aria.
Vidi ancora degli animali: esseri incolpevoli, vittime silenziose della tragedia, vagavano nelle strade deserte. Cani randagi, gatti ciechi, uccelli dal piumaggio grigio come la cenere. I loro occhi riflettevano solitudine e angoscia. Non c’era più cibo nelle ciotole, solo l’eco di un tempo in cui qualcuno si prendeva cura di loro.

La Natura degli uomini, una volta maestosa e rigogliosa, s’era ritirata umiliata in un angolo del mondo. Non la si poteva più riconoscere né salvare. Sopra i fumi che si alzavano dalla città, invece, rimaneva pur sempre la luce del sole e, a distanze immensamente maggiori, c’erano stelle innumerevoli, come granelli di sabbia su una spiaggia infinita.

Negli spazi siderali non era accaduto nulla e tutto sarebbe rimasto come prima.

Immagine tratta da Pixabay

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