E’ già tardi per pensare al dopo Draghi

di Salvatore Salerno

C’è di nuovo movimento in politica ma non è detto che vada nel verso giusto. Fra tutte le cose dette da Mario Draghi, il pragmatico che fa una relazione generica al Senato, una replica di cinque minuti e manda alla Camera una copia della stessa dichiarazione del Senato considerando inutile ripeterla a voce, sicuramente una cosa è ampiamente condivisibile ed è quella dove afferma che il tempo del suo governo serve ai partiti e movimenti a darsi una regolata.
Usando naturalmente parole più gentili.

Poi gli interventi al Senato e alla Camera che smentiscono il carattere tecnico di questo governo e, certo, troppo facile, tutti i governi sono politici, in quel governo ci sono tutti e, se il Presidente Mattarella ha dato un incarico per tre emergenze che richiedono risposte inderogabili, senza colorazione politica, chi se ne frega. Una rivolta dei protagonisti della politica per dire e cercare di interpretare un ruolo che oggi è chiaramente di comparsa, fino a data da destinarsi. La centralità del Parlamento in una democrazia la vedremo la prossima volta, chissà quando, in diretta tv e tanti oratori, ognuno a favore o contro ma secondo la propria lettura di parole vaghe, flessibili, utili a tutti per farsene una ragione. 
E’ un governo del Presidente, di quelli senza precedenti in piena pandemia, ma guai a dirlo. In tutti i Partiti e movimenti, dopo lo schiaffone ricevuto dalla crisi procurata dal partitino killer che ha trovato terreno fertile, ci sono però già i primi segni, soprattutto fra i banchi della parte sinistra (il riferimento a sinistra in questo caso è solo posizionamento fisico nell’emiciclo non necessariamente politico) delle aule parlamentari. 
La destra sta benissimo, è in salute, stanno insieme e fanno insieme maggioranza e opposizione. La politica, in gran parte e più in una parte, ha forse cominciato a interrogarsi su se stessa, le domande che dovrà farsi sono numerose e sulle risposte o mancate risposte, devono tutti dare conto ai cittadini elettori. È un suo dovere, esiste quale fondamento della democrazia costituzionale e rappresentativa. I partiti sono dentro quella carta costituzionale per fare da tramite con le istituzioni pubbliche che governano un Paese, proponendosi agli elettori per eleggere il Parlamento e da lì dovrebbe partire tutto il resto con il voto del Presidente della Repubblica, la fiducia al governo, l’attività legislativa, il controllo, la partecipazione dal basso.
Non sono affermazioni qualunquistiche, il centrodestra con Renzi dentro e altri (qualcuno a sua insaputa) per il momento gongola, ci interessa sapere di quella parte che sosteneva il governo Conte, un Presidente del Consiglio che, con tutti i suoi errori, ma sempre molto meno di quelli commessi da chi lo sosteneva, ha ancora un larghissimo consenso popolare. C’è una proposta nuova che serve a non dimenticare Conte ed è l’intergruppo parlamentare di PD-M5S-LEU ma anche su questo c’è chi rema contro e annuncia mal di pancia. Su tutti i principi e le previsioni costituzionali il voto del 2018 non ha dato gli esiti attesi per la stabilità di una maggioranza in Parlamento ma, soprattutto, non ha dato qualità e sicura riconoscibilità a Parlamento e schieramenti. 
Intanto c’è stata un’Italia Viva dopo le elezioni nel PD e c’è un’Italia Viva oggi anche nel M5S sempre dopo quelle elezioni. Non importa delle denominazioni, sono due fenomeni uguali negli effetti parlamentari, con personaggi di uguale presunzione che si riconoscono in presunti leader, Renzi o Di Battista non importa. Questi fanno patti interni da congiurati nel loro partito di origine, fregandosene dei voti che hanno permesso loro di stare in Parlamento da nominati e mai eletti con preferenze, escono da quei partiti o movimenti e ne fanno un altro personale. Non vanno nel gruppo misto, non si dimettono dalla carica e, anche se qualcuno dovesse andare nel gruppo misto, pensa di farsi comunque un partito come i vari Paragone, Calenda, Toti… e chiunque. Non è un Paese normale. E quindi aspettiamoci almeno un paio di nuovi gruppi al Senato e alla Camera che si trasformeranno in Partito e che si presenteranno alle elezioni del 2022 o 2023.
Se il Presidente del Consiglio Draghi diventerà Presidente della Repubblica, fra meno di un anno, sarà un tutt’uno, Camere riunite, poi immediatamente sciolte ed elezioni. E’ tutto sommato un buon auspicio, vorrà dire che il nuovo governo non avrà sfigurato. Già sappiamo che c’era un orientamento di legge elettorale proporzionale e sappiamo comunque che i capi partito e capi corrente non vogliono le preferenze che toglierebbero loro il potere di decidere e nominare i parlamentari, per di più in un Parlamento che sarà di 600 Deputati e Senatori, non più dei quasi 1000 di oggi. La legge, anche proporzionale che sarebbe più giusta, non toglierà le coalizioni, unica possibilità in Italia di prefigurare un governo omogeneo. 
Allora, ragionando freddamente, come è fredda e lucida l’impronta di questo governo, bisognerà pensare a come questi partiti e movimenti si presenteranno alle elezioni politiche. 
Bisognerà pensarci subito al dopo Draghi, nella tornata delle amministrative e vedere su cosa decideranno grandi e piccoli partiti, cosa significano questi nuovi gruppi parlamentari che non hanno un passato elettorale ma nati dal dissenso di quelli che si sono presentati nel 2018. E qui casca l’asino. Se è chiaro dove stanno andando Renzi, Calenda, Bonino, tutti eletti, cioè nominati, dal PD, se è ovvio dove andranno i Paragone o Giamrusso, nominati dal m5s che oggi sono a destra, non è chiaro dove andranno quelli che stanno con Di Battista e Casaleggio, spronati e provocati da Travaglio, nel dibattito delle Camere, da Ministri che sembrano fatti apposta per non far votare alcuni deboli o interessati ad altro dei M5S e che ci sono cascati, ma che hanno anche vasto consenso nell’elettorato tradizionale del M5S, che faranno un gruppo parlamentare come Italia Viva avendo più o meno lo stesso numero, quelli che Grillo vede ancora marziani, dove andranno le decine del gruppo misto, diventato più grande di un Partito di medie dimensioni.
Nelle prossime elezioni, il Paese può maturare solo con due grandi blocchi che si propongono per il governo, tentare di diventare normale come le grandi democrazie occidentalidi qua o di là, non si può ripetere lo spettacolo che abbiamo visto dal 2018.
Allora, chi rimpiange il Presidente Conte e il governo che è stato ingiustamente costretto a dimettersi, ha una sola strada, in soldoni deve stare con l’intergruppo PD-M5s-Leu che è solo una prefigurazione elettorale. Dall’altro lato c’è già una bella coalizione pronta che è Lega-FI-FdI-IV. Non si scappa. Non ci saranno possibilità di via di mezzo. Questo è il primo punto del dopo Draghi che da quando ha messo piede al Quirinale è già Presidente del Consiglio, per la politica altri quindici giorni persi.

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