Essere madre

DI INES GUADAGNINI

Quando sono nati i miei figli sono stata travolta da un sentimento nuovo, eppure così antico da sembrare superfluo persino parlarne.

Io però ne voglio parlare perchè sono ancora vive in me le emozioni che ho provato nel vederli, stringerli fra le braccia, udire il loro pianto, accarezzarne la pelle vellutata, sebbene sia ormai passato ormai molto tempo.

Ricordo che con il trascorrere dei giorni, dei mesi, degli anni, quel sentimento che chiamano ” amore materno” si dilatava, si moltiplicava, senza argini, senza confini e mi portava in territori dello spirito a me sconosciuti, mi innalzava verso vette insperate di pura felicità.

Era l’ amore per i miei figli che veniva alimentato dal loro stesso esistere, dal loro respiro durante il sonno, dalle loro braccia attorno al mio collo dopo una corsa fatta insieme sul prato, dal loro chiamarmi ” mammaaaa” più volte al giorno.

Ero ubriaca d’ amore e ciò quasi mi spaventava: non avevo mai provato un simile sentimento, pur avendo amato e amando tanto altre persone a me care.

Sapevo che non erano arrivati per completare la mia vita, che di per sé fra i venti e i trent’ anni era già ricca di obiettivi importanti raggiunti: gli studi ultimati, un lavoro sicuro e appagante, un matrimonio felice, affetti famigliari solidi e tanti amici con cui condividere le gioie del vivere.

No! Loro erano arrivati per fare di me una donna nuova, sconosciuta anche a me stessa. Cominciavo a comprendere che l’ amore per i figli non ha eguali, perché ha in sé l’ essenza dell’ infinito e mi lasciavo trasportare da questa felicità così diversa da tutte le altre e così inaspettata.

Poi accadde che proprio la consapevolezza della grandiosità del mio amore diventò il tramite per porre un argine a ciò che si sarebbe potuto trasformare in bisogno di possesso.

Fu a quel punto che andai a rileggere uno scritto di Gibran, nel quale il poeta dice fra l’ altro ” i tuoi figli non sono figli tuoi, ma sono i figli e le figlie della vita stessa (…) Tu sei l’ arco che lancia i figli verso il futuro”.

Certo era così, e dunque continuai il mio cammino d’ amore forte della consapevolezza che amarli significava prima di tutto riconoscere a loro la libertà di essere ciò che erano.

Ancora di più mi colpi’ la lettura di una poesia scritta da Margaret Mead per sua figlia. Nei suoi versi, che riporto qui sotto, ho trovato molte risposte ai miei dubbi, alle mie paure di madre.

Così recita Margaret Mead :
” Che io non sia un inquieto fantasma
che insegue ossessivo l’ andare dei tuoi passi
oltre il punto in cui mi hai lasciata
ferma in piedi sull’ erba appena spuntata.
Tu devi essere libera di prendere un sentiero
la cui fine io non senta il bisogno di conoscere,
ne’ febbre affliggente di sapere
che sei andata là dove io volevo che andassi
(…)
Dunque te ne puoi andare senza rimpianto
lontano da questo paese familiare,
lasciando un tuo bacio sui miei capelli
e tutto il futuro nelle tue mani “.

Quando rileggo questi versi li sento profondamente vicini al mio modo di pensarmi, all’ immagine ideale che ho della maternità. In questi lunghi anni ho cercato di seguirne i suggerimenti, ma non è stato facile: spesso sono inciampata e caduta, a volte mi sono anche persa.

Sempre ho dovuto fare i conti con la madre che ero, con tutti i miei limiti. Ma ancora oggi so per certo di aver voluto guidare i passi dei miei figli lungo i sentieri della libertà, perché capivo che lasciare ” tutto il futuro nelle loro mani” era il più grande atto d’ amore che io potessi fare!

Immagine tratta dal web

Questo testo è stato pubblicato,  anche su
” Voci al femminile – Il cielo in una stanza”

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