Francesco Hayez, Odalisca

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Francesco Hayez non è un semplice pittore romantico: la sua fama, tale da farlo acclamare come il più apprezzato dai contemporanei, trova un illustre estimatore in Giuseppe Mazzini, il quale arriva a definirlo ‘il capo della scuola di pittura storica che il pensiero nazionale reclamava in Italia’.

Purtroppo il suo successo non dura a lungo, in quanto particolarmente legato non tanto al valore artistico quanto alla capacità di descrivere temi risorgimentali.

Una trattazione teatrale, ai limiti del melodrammatico, che rischia di perdere in comunicazione, a scapito di una fissità plateale, ma che, paradossalmente, diventa il suo punto di forza: Hayez, infatti, proprio grazie alla sua minuziosa cura dei dettagli, e nitidezza delle immagini, tipica di altri autori neoclassici, diventerà celebre in qualità di ritrattista.

Odalisca, realizzato intorno al 1880, ultimo di una serie di dipinti e studi evidentemente incentrati su un tema molto caro all’autore – soggetto peraltro comune a diversi altri artisti dell’epoca, probabilmente stimolato dal caratteristico fascino esotico delle immagini elaborate – depone senz’altro in tal senso, proponendo una versione in linea con le ragionevoli aspettative di descrizione e dettaglio.

Si tratta di un dipinto attribuito successivamente – riportato come autenticato dal professor Fernando Mazzocca – che comunque risulta presente in un elenco precisamente documentato nel volume relativo alle Memorie dell’artista, precisamente in appendice, ad opera di Giulio Carotti.

Un ritratto molto interessante, di cui si presume la finalità destinata ad una collezione privata – si parla dell’amico Giuseppe Clerici, ingegnere, del quale Hayez realizza un ritratto molto intenso, come consuetudine, intorno al 1875 – che presumibilmente glielo commissiona anche se si ignorano le origini di tale richiesta.

Verosimilmente legato ad un’ispirazione tendenzialmente orientaleggiante, rievocante antichi, lontani fasti, a differenza di quanto propone Jean-Auguste-Dominique Ingres a inizio secolo, nel 1814, in ossequio alle campagne napoleoniche in Oriente, quindi particolarmente sentito sul momento, la versione italiana del soggetto, nello specifico caso, sembra più rievocare un carattere storico e popolare.

Difficile ignorarne la probabile ispirazione raffaellesca: la mano pudicamente posata sul petto pare ricordare il gesto de La Fornarina, per quanto risultino differenti sia lo scorcio che la veste, in precedenza ancora più evidenti.

Accanto alla versione del 1839, indubbiamente più sensuale ed aureolata di veli – Ingres la raffigura direttamente nuda e vagamente ammiccante verso l’osservatore – pur sempre caratterizzata da uno sguardo leggermente sfuggente, certamente non sfrontato, l’ultima versione sembra quasi riconnettersi ad uno scopo prettamente didascalico.

Come se l’intento fosse non tanto quello di mostrare costumi altri rispetto a quelli autoctoni, al contrario rappresentare qualcuno, ad esempio una donna tipicamente italiana ma agghindata alla maniera orientale, con un prezioso turbante di seta verde, la cui vivace tonalità ne mostra l’indubbia intuizione cromatica, eppure accomodato sul resto di un abbigliamento molto più ordinario e locale.

Un atteggiamento alla Vermeer, in cui il copricapo della celebre ragazza, lungi dall’essere un accessorio usuale, viene presumibilmente utilizzato in nome di un fascino misticheggiante talvolta utilizzato anche per popolari e diffusi temi biblici.

E non è un caso che la poliedricità dell’artista gli abbia effettivamente permesso di spaziare tra vari argomenti, non ultimi appunto quelli mutuati dalla Bibbia…

Francesco Hayez (1791-1882), Odalisca, 1880, olio su tela, 55×39.3 cm., Collezione privata
Immagine: web

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