C’è stato un tempo in cui il calcio
era di carne. Umano.
Si poteva toccare. L’idolo era vicino ai palloni di stracci e ai campetti di periferia.
C’è stato un tempo in cui il campione
era irraggiungibile in campo da compagni e avversari
perché era semplicemente il più bravo, il più forte.
Ma fuori dallo stadio era di carne.
E incarnava una città. I suoi abitanti. Camminava per strada con loro. Dava senso al mare perché ci ha fatto sentire regione. Nazione. Era una bandiera con occhi e anima, più credibile del tricolore.
Questo non si fa coi piedi.
Questo di restare umani e tangibili.
Si fa col cuore. Con la testa. Con l’umiltà.
Oggi il calcio perde soprattutto un pezzo irripetibile di umanità.
Buon vento, rombo di tuono.
E grazie.
Andrea Melis parolaio
Immagine tratta dal web
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