Guardo il mondo come se fosse già un ricordo

DI MARIAESTER GRAZIANO

Mi piacciono gli armadi pieni di inverni e primavere alla rinfusa. Mia moglie faceva il cambio di stagione e a me pareva che mi stesse ordinando il tempo, che lo stesse disintossicando.

A me piaceva ubriaco e imprevedibile.
Mia moglie aveva un tempo curato, in gonna sul ginocchio e tacco otto.
Mia moglie inghiottiva sonni chimici alla stessa ora.

Mia moglie inghiottiva risvegli scientifici puntuali di caffè, energetici e integratori.
Io ho bisogni facoltativi. Sono fatto di matita. Mi cancello in fretta ma rimangono i segni calcati dell’indecisione. Il tempo mi segue ma non gli do retta. Basta credere che il caso sia una scelta.

Ho ancora addosso una faccia da ufficio con finestre sporche di pioggia, fa a coriandoli bigi il mondo.
Mi guardo le mani. Sono uguali a quelle di mio padre. Me li ritrovo addosso come un’ambizione.
Sulla sinistra c’è la fede. Pare invecchiata. Sulla destra c’è un residuo di adolescenza senza rimedio.

Mi perdo sul niente. Sui sovrappensieri. Ingorgo il traffico umano. Ingorgo i minuti frettolosi.
Guardo le mani di mio padre sulle mie e ingorgo.
Ho i gesti del padre, mio padre.
Ho la carezza e il rimprovero con l’indice odoroso di altre cucine, la lettura della pagella con due dita sulla labbra.

Ho i gesti ma non i tempi giusti. Sembro un film doppiato malamente.
Simulo parole senza dialoghi veri, acerbe constatazioni sul tempo, il lavoro, la scuola, frasi abortite da uno squillo.

Il fracasso domestico del prevedibile. Guardo il mondo come fosse già un ricordo. Col vizio della nostalgia.

Immagine tratta da Pixabay

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