Il mio quartiere: prima, durante e dopo il covid19

DI INES GUADAGNINI

 

A Padova, come in ogni luogo d’Italia, era solo un anno fa la normalità.
Era il tempo in cui la grande piazza che si affaccia sull’ antica Porta Ognissanti, nel quartiere universitario del Portello, brulicava di vita ad ogni ora del giorno e della sera.

Vite in movimento che a piedi o in bicicletta la percorrevano driblando le fontanelle, sistemate in fila sull’ acciottolato da poco rifatto; vite sotto i portici occupati dai tavolini dei bar sempre affollati; corpi un tempo infreddoliti, stretti nei giacconi invernali, e ora desiderosi di passeggiare, finalmente, con quel sole nuovo già primaverile, l’ aria tersa e un cielo azzurro come non mai.

Poi però, d’ improvviso, la piazza fu deserta e un silenzio irreale calò sulle case e su di noi come un’ ala cupa e minacciosa. Sconosciuta.
Ricordo il senso di smarrimento che provai, simile alla paura degli spazi vuoti, tanto da farmi quasi mancare il respiro.

Incredula e inesperta, da un giorno all’altro, cominciai ad indossare la mascherina per proteggermi da un possibile contagio. Camminavo spaesata, mi guardavo intorno e scoprivo che già mi mancavano gli studenti con i loro giovani passi sicuri, gli zaini sulle spalle pieni di libri e le voci che narravano di esami da dare, di lezioni da seguire; ricordavo i loro timori, le emozioni, le gioie e i cori per la laurea raggiunta, le bicchierate per festeggiare il nuovo dottore, con i genitori e gli amici vestiti a festa.

Vita degli studenti che si era fermata, perchè l’ Università era chiusa e loro se ne erano andati. E speravo di vederli tornare, presto .
La piazza risuonava di una quiete strana, come succede solo in estate, mentre invece era appena iniziata la primavera.

In tutta quella solitudine, il silenzio divorava lo spazio e lo riempiva di sè. Solo il cielo azzurro su di me sembrava volermi rassicurare :
“ Stai tranquilla, andrà tutto bene, tutto tornerà come prima ! “
…ma io, intanto, sentivo anche l’assenza di quelle coppie di anziani che, in tempi normali, vedevo andare sottobraccio al supermercato, con il loro carrettino della spesa.

Abitudini rassicuranti, date da una quotidianità lunga una vita, sostituite ora dalle nuove premure dei figli :
“Non uscite voi, fatemi la lista che vado io a fare la spesa.

State tranquilli, andrà tutto bene “
Li immaginavo in attesa questi anziani genitori, nelle loro piccole case ordinate, pazienti come sempre, come solo loro sanno essere.

Mi mancava il vociare allegro dei bambini in uscita scolastica. Passavano spesso nella piazza, per mano a due a due, con un berrettino uguale per tutti; le maestre ad aprire e chiudere la fila e a zittire le grida più scomposte.

Voci di bimbi nell’ aria fresca che era già preludio della bella stagione in arrivo, anche in città; voci come un garrito di rondini al loro ritorno. Avevo nostalgia del loro schiamazzo, del calpestio sulla strada, mentre un pensiero rassicurante mi attraversava: “ Non temete, tornerete a farci sentire le vostre risate nei parchi, tornerete a riempire il silenzio delle aule e delle strade.

Non temete, andrà tutto bene, presto tutto tornerà come prima!”
E ripensavo anche ai turisti in viaggio nella storia e nella bellezza. Rivedevo il loro naso rivolto all’ insù verso il vecchio Torrino della Porta Ognissanti, per cercare la campana che segna, con il suo rintocco leggero, il passare delle ore; la pianta della città fra le mani e il loro cappello che volava via, portato lontano da un’ improvvisa folata di vento .

E allora dicevo a me stessa che tutto quel silenzio, tutto quel vuoto prima o poi sarebbe finito. Pensavo che presto saremmo tornati ad uscire dalle nostre case per animare la piazza, i portici e le strade; che avremmo ricominciato a frequentare i negozi e i bar con gli amici, che li avremmo nuovamente riempiti con le nostre chiacchiere, i nostri abbracci e i nostri baci troppo a lungo trattenuti. Ero fiduciosa che ci saremmo ripresi la vita più forti di prima!

E’ passato un anno.
I nostri sacrifici non sono ancora finiti; mani sacre continuano a curarci con dedizione indicibile, in attesa che il virus sia sconfitto definitivamente, ma pian piano la forza della vita riaffiora. Lenta, ma inarrestabile !

E io non perdo la speranza di rivedere presto la piazza del mio quartiere riempirsi nuovamente di studenti, anziani, bambini e turisti.
Sono paziente io, so attendere, nonostante il profondo dolore provato in questo anno da dimenticare!

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