La pianta di fucsia dai petali doppi

DI FLORA BARIN

Parecchi anni fa, ebbi modo di conoscere una gentile signora veneziana.

Con gli anni che passavano Venezia diventava per lei sempre più scomoda e faticosa. Ponti, calli, gradini che salgono, gradini che scendono, fuori e dentro casa. Lunghi percorsi tra campielli e salizade, da fare a piedi.

E così decise di farsi costruire fuori Venezia, nell’entroterra, una villetta con balconi a bifora ed una loggetta. Come si usa a Venezia.

Piantò nel giardino fiori e piante. Esplose in lei una passione totale per il giardinaggio.

Trascorreva lì tutto il giorno, ripuliva le erbacce, toglieva le foglie rovinate, raddrizzava con un sostegno le piante che faticavano a stare erette, annaffiava nella giusta misura.

“Le piante soffrono se si dà loro troppa o troppo poca acqua, bisogna conoscerle e capirle, loro te ne saranno grate “, diceva.

Parlava loro: le lodava ad alta voce per la bellezza e per il loro vigore e le accarezzava con gli occhi, come fa una madre con i propri figli. .

E come una madre, non si allontanava mai per tanto tempo dalle sue piante.

Il giardino era il suo luogo esistenziale ed aveva a che vedere con la sua anima.

Il suo volto rifletteva una serenità che arrivava da dentro, dal profondo. Qualcosa che assomigliava ad un traguardo raggiunto, ad un punto d’arrivo conquistato. Come fosse sì, nel suo reale giardino ma anche in quello della sua anima.

Viveva nel tempo che non conosce tempo!

Sopra la siepe di cinta aveva tirato ad arco rami di rose rampicanti che rifiorivano dalla primavera fino all’inizio dell’inverno.

Una festa di colori!

Se la chiamavi, capivi dov’era dalla direzione della voce così immersa tra fiori e piante.

Mi attraeva quella piccola signora che tanto splendeva di luce interiore. Serena e sorridente sembrava aver umanizzato il giardino.

– Un giorno andai in una serra e, tra le altre, vidi delle piante di fucsia. Ne acquistai una grande e folta, piena di fiori dai petali doppi.

Un colpo d’occhio da vedere così in piena fioritura.

Gliela portai sapendo il piacere che le avrei arrecato.

Rimase semplicemente estasiata. Mi disse che non aveva mai visto una pianta di fucsia con quel tipo di fiori.

I colori, viola e ciclamino con i pistilli che uscivano abbondantemente dal fiore, dai petali doppi, erano proprio belli.

Mi fece accomodare sotto la pergola del glicine, sul tavolo dove d’estate mangiava. Prese un vaso di coccio, lo rovesciò e ci mise sopra la pianta. La fucsia aveva un andamento pendente e temeva che appoggiandola direttamente sul tavolo si sciupasse .

Girò e rigirò la pianta ammirandola, descrivendola e parlandole direttamente. Tolse qualche fogliolina che si era strapazzata durante il trasporto, tastò la terra del vaso, accertandosi dell’umidità.

Il suo sguardo passava dalla pianta a me, e da me alla pianta, era felice. Il mio sguardo passava da lei alla fucsia e dalla fucsia a lei, ero felice. Fu un lampo, due guizzi d’anima s’incontrarono in mezzo a quella verde energia.

La pianta durò parecchi anni ed ogni anno, nel periodo della fioritura, in tarda primavera, mi telefonava per rinnovare la meraviglia e lo stupore di fronte a tanta bellezza.

Questa signora visse sana, lucida e serena fino all’età di novantasei anni.

Dopo di lei il giardino andò in rovina, le sterpaglie presero il sopravvento e tutto quell’incanto scomparve, come se con la sua anima, se ne fosse andata anche quella del suo giardino.

E’ rimasto solo un pino Deodara, maestoso e folto a custodire il ricordo della sua amata padrona. Dalla finestra del mio soggiorno ne vedo la cima e, al mattino quando apro, sono io a salutarlo.

La figlia ed i nipoti vivono a NewYork , non possono fare molto per questo giardino, abituato alla presenza viva dell’amata signora.

Ma un giorno, quando verranno, consegnerò loro una copia di questo scritto a testimonianza della loro nonna materna.

©® Copyright opera artistica di Flora Barin

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