La preghiera del soldato

DI GIOVANNI DE LUCIA

Credo che questa sia la dichiarazione o preghiera che ogni soldato reciti a prescindere del colore della sua divisa.

Questi ultimi anni sono stati vissuti in trincea, unico desiderio alzare lo sguardo oltre quei sacchi di sabbia. Generale, ho imparato a dividere la mia scodella con tutte le paure di questo tempo.

Per cane o un topo e il fango, misto alla puzza della mina, mi si è attaccato addosso, quasi a ricordarmi che le radici della terra sono le mie. Non so perché mi trovo in questo buco, sono stato frettolosamente preso da idee di libertà, di giustizia, di redenzione.

Non so perché il mio cuore deve fermarsi ogni volta che accarezzo un frammento di casa. Ogni notte ho cercato nei tuoi occhi azzurri il conforto ai miei giorni; quante volte ho cercato di specchiarmi nelle tue medaglie, troppo lucide, come di feste, di vino, di balli.

Sai Generale, guardandoti meglio, vedo che non hai addosso un solo schizzo di fango e se diluvia o nevica tu resti asciutto, non hai lacrime, il tuo sguardo è di vetro.
La sai la storia che una sigaretta non si fuma mai in tre? No vero? È una questione da poveracci.

Domani tornerai ai tuoi saloni ed io qui a fasciarmi i piedi per non sentire i morsi del gelo. Ma con questa lama di luna, nelle tue medaglie vedo la mia disperazione accompagnarsi a qualche tuo inopportuno sorriso. Domani non salterò fuori da quel buco perché tu possa vedermi correre a conquistarti un metro di vita. Domani non ci saranno eroi da declinare sui muri di un sacrario.

Domani si, salterò fuori ma da uomo libero, voglio entrare in quel cannone, perché mi spari lontano da questa trincea. Generale ti affido il mio topo, abbine cura.

Immagine tratta dal web

 

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