La vita non è un game

DI ROBERTO BUSEMBAI

Ma ce lo vedete un signore come me, con le sue ormai abitudini, con le sue idee forse ormai obsolete, con i suoi “antichi” valori e principi, a giocare assiduamente e continuamente con un video games?

Beh potrei anche farlo, e non nego a volte mi ci sono pure divertito, ma non con tanta partecipazione e volontà come del resto ormai tanti, anzi oserei dire tutti, stanno facendo.

Il gioco, il game così conosciuto, è parte integrante se non addirittura basilare della vita quotidiana. Si gioca in casa, ma si gioca al lavoro, per strada, addirittura al cinema e al teatro, per non citare la scuola o la biblioteca, si gioca sul tram, sul treno, alcuni sono ancora più audaci e lo fanno mentre guidano!

Si gioca in una sala d’attesa, all’ospedale e chi furtivamente pure a un funerale, a una festa tra amici e ad un matrimonio, camminando per strada o facendo pure sport, si gioca a colazione, pranzo e cena e rigorosamente prima di dormire.

Quando ero ragazzino, non lo nego, anche io avevo la passione di un gioco, il flipper, ne ero davvero infatuato, e al contempo adesso capisco pure che era da “cretini” doversi abbandonare alla casualità del movimento di una pallina di ferro, che agiva e si muoveva a seconda degli impulsi elettrici che subiva o dai contraccolpi di dove andava a sbattere, ma il divertimento non ha scusanti, giustamente, ed era più forte di me non poterlo fare.

Ma il gioco poi non era così nettamente passivo, avevo imparato le varie modalità di forza nel lanciare la pallina, perchè a seconda dell’intensità essa poteva entrare in una buca o gabbia o corridoio che mi avrebbero donato un punteggio molto più alto.

Oppure nella maestria e impulsività nel saper cogliere il momento e l’intensità giuste per azionare i due pulsanti ai lati estremi del flipper, il sistema di difesa, due leve che potevano ostruire l’uscita della pallina in gioco.

E quando l’ultima pallina usciva, il gioco era finito e difficilmente si possedevano ulteriori 100 lire per ricominciare e comunque il flipper non si poteva portare a casa, era relativamente pesante e ingombrante e di proprietà del locale dove si trovava, che poteva essere un bar, una sala giochi o addirittura un oratorio.

Il gioco terminava quando non eri in quel determinato luogo, dopo quei minuti di svago, la vita riprendeva la sua entità e per estraniarti avevi e possedevi la fantasia che comunque non ti portava mai così lontano da confondere la realtà.

Il game di oggi invece ha tramutato la vita al punto tale da non saper più riconoscere il vero dall’irreale, da non poter vivere senza, ovvero da non poter concepire che la vita possa essere tale senza il game, praticamente la vita è diventata un game.

Non c’è più la conoscenza del bene o del male come distinte entità, il male è quello cattivo e il bene sono “io” e in quell’”io” c’è tutto mescolato (sia bene che male, sia vero che falso, sia reale che virtuale) tanto da non riuscire più a capire quando il gioco è game o non è gioco ma vita.

Abbiamo colpevolizzato uno schiaffo dato per una ridicola e oltraggiosa battuta a una donna per la sua non capigliatura dovuta a una malattia, diventandone così, senza nemmeno arrivare minimamente a capirlo, complici di quell’oltraggio.

Io sinceramente fossi stata quella persona, di schiaffi ne avrei dati due, uno per quella battuta da bullo cretino e deficiente super-gasato americano e l’altra al pubblico che su quella battuta ha pure riso!

E ancora di più se fossi stata quella donna, l’offesa , avrei sputato sul palco a monito di questa povera società che è buona a ridere e farsi grande alle spalle del debole o del malato, del povero o del discriminato, e visto che “le donne” si sono pure sentite oltraggiate dallo schiaffo e non da chi le ha offese, un altro sputo non me lo sarei negato.

Se un uomo reagisce a un’offesa nei tuoi confronti, donna, penso che sia normale soprattutto se l’offesa è così altamente pesante e pubblica, e non mischiamo cose come maschilismo e femminismo in un atto che sarebbe stato uguale fosse accaduto inversamente.

Ma il problema poi non è quello che ha fatto o detto ecc… il problema vero e proprio è che il “gioco” dello spettacolo in onda è stato “rovinato” da un imprevisto, il super eroe, colui che ha tirato lo schiaffo, si è tolto il mantello e il costume da eroe e è diventato improvvisamente “umano” Oooooohhhhh!

Il “gioco” non deve finire bisogna provvedere, ed ecco che si abbatte totalmente il super eroe e ne creiamo un altro, quello che ha detto la “battuta”. Ucciso il super eroe si può tornare a giocare!

Non siamo più capaci di comprendere il valore umano, la debolezza umana, la pandemia ne è stata testimone, non siamo stati capaci di affrontarla amorevolmente e degnamente, abbiamo urlato e sbraitato sulle “imposizioni” (così chiamate) di difesa medica, abbiamo guerreggiato perchè ci proibivano le nostre uscite serali, le nostre cene e pranzi al ristorante, ci siamo agitati per un green pass perchè ritenuto di “controllo”, sapendo coscientemente che non serve un green pass per sapere quello che fate o dove andate e quanto spendete o cosa comprate, basta un telefonino, quello che usate per fare i games!

Abbiamo urlato, in piena pandemia, che non volevamo le mascherine e adesso che esternamente non ce n’è davvero più bisogno, tutti con la mascherina…. “fa moda e poi ci siamo abituati”.

Abbiamo una vera guerra alle porte e purtroppo quello che ci spaventa non sono le bombe ma la paura che il nostro display venga frantumato, perchè sappiamo benissimo che il gioco continua ugualmente ma noi non siamo abituati a giocare senza vedere, non siamo abituati al sacrificio, non siamo abituati a farne senza di tutto, noi conosciamo il “game” della vita…….MA la vita non è un “game”.

Immagine tratta dal web

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