Le pericolose vite degli sconosciuti stuntman

DI GIOVANNI BOGANI

Vivere pericolosamente. Vogliono una vita spericolata, una vita come Steve McQueen. E la vivono, un film dopo l’altro. Rischiando ogni volta la pelle, anche se nessuno lo sa, anche se nessuno li riconosce.

Sono gli stuntmen, le controfigure, quelli che fanno lo sporco lavoro: quelli che si buttano dalle auto in corsa, che si fanno passare sopra da un cavallo al galoppo, che saltano dai palazzi, quelli – e quelle – che rendono possibili le scene più spettacolari dei film, mentre la star se ne sta al calduccio nella roulotte, aspettando di dire al regista “sono pronto per il primo piano”.

Ieri è morto in Francia, soffocato dal covid, uno degli stuntmen più famosi del mondo. E tuttavia, sconosciuto al grande pubblico.

Si chiamava Rémy Julienne: era stato controfigura di James Bond in sei film. A interpretare l’agente segreto si succedevano Roger Moore, Timothy Dalton, Pierce Brosnan: gli 007 passavano, lui rimaneva, insostituibile.

In Francia, quelli che fanno il suo mestiere li chiamano “trompe la mort”, inganna-la-morte. E si tratta, effettivamente, di giocare con lei come il torero col toro: l’incornata fatale è sempre in agguato.

Per Rémy Julienne, che è caduto, si è buttato da auto in corsa in più di 1.400 film, l’incornata fatale è giunta con il virus invisibile. Era nato nel 1930 a Cepoy, paesino come tanti della Loira.

Impara prestissimo a nuotare, sorprende e spaventa gli amici rimanendo minuti interi in apnea nell’acqua della diga. A dodici anni salta sulla moto che il padre ha nascosto nel fienile sotto l’Occupazione; a venti, è campione di motocross. La paura non sa che cosa sia. E per lui arriva il cinema.

Interpreta poliziotteschi, drammi, fa la controfigura di Yves Montand; è anche in “C’era una volta in America” di Sergio Leone. Nel 1999, il dramma.

Sul set di “Taxi 2”, mentre dirige il lavoro degli stuntmen, un cameraman perde la vita. Una ferita che non si rimarginerà nella sua memoria. E la prova che il rischio non lo puoi mai annullare del tutto.

È uno sporco lavoro, ma qualcuno lo deve pur fare. In Italia, ai tempi degli spaghetti western, gli stuntmen avevano nomi stranieri: Ken Wood, Paul Carter, Ray O’ Connors.

Ma in realtà si chiamavano Mauro Mammamatrizio, Giovanni Cianfriglia. Nazzareno Zamperla, Riccardo Pizzuti, Giancarlo Bastianoni, Ottaviano Dell’Acqua, Pierluigi Camiscioni. A loro Gianfranco Pannone, documentarista fra i più bravi del panorama italiano, ha dedicato un film, “L’America a Roma”.

Ed era proprio un’America alla carbonara, quella che emerge in quegli scorci di vite: “Aoh, ma io so’ nato a Trastevere, in un vicolo cieco: chi se lo immaginava di finire in un western?” dice Guglielmo Spoletini, stuntman e attore con il nome “mmeregano” di William Bogart. Cowboys di Trastevere, del Quarticciolo.

Tutti avevano nomi d’arte odorosi di West: Remo Capitani era Ray O’ Connors, Giovanni Cianfriglia era Ken Wood, Luigi Marturano era Jin Martin, Mauro Mammamatrizio era Victor Man, Paolo Magalotto era Paul Carter.

Franco Daddi fu, semplicemente, Frank Daddy. Sal Borgese fu, invece, Kammamuri nel “Sandokan” di Sollima. E molti, certamente, ne dimentichiamo.

Non dimentichiamo, però, Fiorella Mannoia. La cantante di “Quello che le donne non dicono”, interprete delle canzoni di Fossati, la protagonista di “La musica che gira intorno”, andato in onda ieri sera su Raiuno, ha iniziato da stuntwoman.

È stata controfigura di Monica Vitti in molti film: era lei che si prendeva gli schiaffoni di Alberto Sordi in “Amore mio aiutami”. Ma soprattutto, specializzata nelle cadute da cavallo, è stata controfigura di Candice Bergen ne “Il giorno dei lunghi fucili” e in altri spaghetti western, per poi fare da controfigura di Barbara Bach in “Agente 007, la spia che mi amava”.

È una storia lunga, quella degli stuntmen. Viene in mente Buster Keaton, il re del cinema comico, che saltava – senza controfigura – da treni in corsa e giù da grondaie di palazzi. Buster Keaton che fin da bambino veniva lanciato, come una palla, dai genitori nei loro spettacoli al circo: Keaton che si ruppe una vertebra, durante le riprese di un film, e non se ne accorse neppure.

Viene in mente Yakima Canutt, campione di rodei, controfigura di John Wayne in “Ombre rosse”: e ce n’erano, di scene pericolose, in quel film. Canutt ricevette anche un Oscar alla carriera.

L’Oscar, per quasi tutti loro, è però una chimera. Gli stuntmen sono sempre stati snobbati dall’Academy, che non ha mai incluso la loro categoria fra quelle dei premi. Da alcuni anni, però, gli stuntmen hanno il “loro” Oscar, i World Stunt Awards. Spesso, a ricevere il premio, si presentano con le stampelle o un braccio al collo.

E arriviamo al presente: a Brad Pitt, che in “C’era una volta… a Hollywood” interpreta lo stuntman/controfigura del personaggio interpretato da Leonardo DiCaprio.

E per quel ruolo, ha vinto l’Oscar come miglior attore non protagonista: un Oscar per avere interpretato uno stuntman.

Ci sono, infine, quelli che gli stuntmen non li usano: come Harrison Ford che nei film di “Indiana Jones” si è appeso agli elicotteri, Daniel Craig che ha rischiato la pelle nei vari 007, e più di tutti Tom Cruise, che in “Mission Impossible” si è arrampicato su un palazzo sostenuto solo da una corda, e si è tenuto con le sole mani sul muso di un’auto durante un inseguimento.

Come Zoe Bell, la protagonista di “Grindhouse” di Quentin Tarantino, che aggrappata al muso di un’auto ha girato, praticamente, tutto il film, passando dallo status di stuntwoman a quello di star.

A volte, uno stuntman riesce a prendersi la scena. In “C’era una volta… a Hollywood”, Brad Pitt interpreta lo stuntman/controfigura del personaggio di Leonardo DiCaprio.

E per quel ruolo, vince l’Oscar come miglior attore non protagonista: un Oscar per avere interpretato uno stuntman. Ma viene da pensare anche, sempre nel mondo di Tarantino, a Zoe Bell, controfigura di Uma Thurman in “Kill Bill” e protagonista di “Grindhouse”, che si fa tutto il film aggrappata al muso di un’auto lanciata a tutta velocità, senza effetti speciali al computer. È tutto vero, è tutta adrenalina, è tutta paura, è tutto cinema.

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