Le radici del cielo

DI ANTONIO MARTONE

 

Per un albero, le tante stagioni passate, il vento gelato in inverno e il caldo accecante d’estate, spingono incessantemente le radici nel terreno. Per un uomo è lo stesso: le stagioni passate, per l’uomo, sono segnate dal dolore.

Le crisi vissute e le stagioni del cuore che si sono avvicendate lasciano inevitabilmente dei segni – spesso delle vere e proprie cicatrici nell’animo. Qui, quand’esse diventano consapevolezza, spingono nel contempo le radici nel terreno: il dolore e la consapevolezza della vita sono la stessa cosa, così come la coscienza del dolore e l’autocoscienza sono il medesimo.

Una pianta che dispone di radici profonde sarà indubbiamente più sana e più forte di un’altra che invece presenta radici superficiali. Una pianta con radici profonde dovrà esprimere la propria forza: l’unica maniera per farlo è quella di spingersi verso l’alto, verso la luce. La sua gioia più grande, dunque, sarà quella di proiettare i suoi fiori e i suoi frutti incontro al cielo: il suo istinto, infatti, è quello di varcare i limiti della terra che la tiene confitta.

Quando le radici sono piccole, una pianta occuperà uno spazio ridotto della terra in cui è nata: il suo tronco sarà minuto, i suoi fiori non si spingeranno mai verso il cielo e i suoi frutti avranno poco sapore. Quanto più le radici saranno profonde, invece, tanto più una pianta sentirà il bisogno del cielo.

Accade lo stesso per gli uomini. Se vogliamo alzare lo sguardo e allungare la vista, ebbene, cerchiamo dapprima il contatto con le nostre radici – senza di esse, brancoliamo, siamo miopi e presto… presto cadremo.

 

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