L’ultimo viaggio

DI MARIALUISA VILLA

Sono uscita in strada, avvolta nel mio sciarpone, il freddo pungente mi sfiora solo gli occhi. Il pomeriggio è già inoltrato, tra poco sarà buio, la domenica si sta avviando alla fine.

Cammino senza fretta, un passo dopo l’altro, immersa nei miei pensieri. Scelgo di raggiungere la chiesa senza passare per le vie del centro, imbocco, invece, le vie laterali del paese. Non ho voglia di incontrare nessuno e neppure di incrociare persone sconosciute. Voglio camminare da sola, con l’unica compagnia dei miei ricordi.

Sono passati 25 anni. Belli, brutti, difficili, gioiosi, complicati, a volte felici, forse. Ma sono passati. E io sono qui. Cammino per le strade del paese che tu hai amato tanto, al quale sei tornato, insieme alla tua sposa, dopo anni di duro lavoro e sacrifici, per trascorrere in serenità l’ultimo tratto della vostra vita. Non avete potuto goderne tanto, di tutto ciò. Troppo presto hai lasciato la tua donna.

È troppo presto hai lasciato me, che avevo ancora tanto bisogno della tua presenza, del tuo amore, della tua protezione e della sicurezza che mi infondevi. Nel giro di poche settimane ci hai detto addio e ci hai lasciato sgomenti, increduli e assolutamente impreparati a vivere senza di te. Senza la tua presenza rassicurante. Fino a quando ci sei stato tu, non ho mai avuto davvero paura di nulla. Quando un timore mi aggrediva, tu riuscivi sempre a tranquillizzarmi.

Se un problema che mi sembrava irrisolvibile si presentava e mi trovava preoccupata, se mi pareva non ci fosse via d’uscita, arrivavi tu a dirmi: ” Stai tranquilla, tutto si risolve. Ti fidi di me?” . E io mi fidavo, perché sapevo che tu mi avresti aiutata a trovare la via, che nulla sarebbe stato senza soluzione, con te al mio fianco.

Tu eri la mia roccia inespugnabile. Il mio eroe. E quando hai dovuto arrenderti al male, ho dovuto rendermi conto che anche gli eroi muoiono, che a volte cadono in battaglia e che nulla è per sempre.

In quel momento ho compreso che la mia giovinezza era finita e che niente sarebbe più stato come prima. Certo, la vita sarebbe andata avanti. Ci sarebbero state tante cose belle da vivere. Ma la spina che avevo conficcata nel cuore non sarebbe mai più sparita.

E si sarebbe comportata come le vecchie ferite di guerra. Quelle che quando cambia il tempo tornano a fare male. Ogni volta che bussa un ricordo, infatti, ricomincia a sanguinare un po’.

Io ci metto una pezza, tampono un po’ , e aspetto che smetta. E poi continuo la mia strada. Anche ora, che sto andando alla messa che ho fissato per commemorare il ricordo tuo e di mamma, sta sanguinando. E mi fa male. Sento le campane in lontananza, le stesse che sentivo quel giorno quando ti abbiamo accompagnato nell’ultimo viaggio.

Allora, a differenza di oggi, il freddo non era pungente. Era una giornata umida e nebbiosa. Ma il dolore e il senso di vuoto è uguale. Raggiungo la chiesa, mi siedo in fondo, vicino alla porta, in un angolo. Voglio che nessuno si accorga di me. Non ho voluto nessuno accanto. Nessuno sa che c’è questa messa, nessuno sa che io sono qui. Sono sola. Le lacrime scorrono silenziose.

Sono contenta di avere la mascherina, mi permette, complice insieme al posto buio dove mi sono seduta, di nascondere il mio dolore. Piango in silenzio, per tutto il tempo della funzione. Ed è come se tutti questi anni non fossero mai passati. Ascolto i canti, sento le parole del prete senza ascoltarle.

Raccolgo solo il momento quando vengono pronunciati i vostri nomi. Ora la celebrazione è terminata. Esco in fretta dalla portina di legno laterale e mi allontano. È sera, ormai. Torno a casa, con il cuore pieno di voi.

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