L’urlo

DI ANTONIO MARTONE

Ci sono artisti che sentono i colpi assestati dalla vita ancor di più quando è trascorso del tempo e quando questi sono profondamente penetrati nel corpo e nella mente, erigendo colà la loro dimora. Su queste determinate sensibilità, i traumi non finiscono mai, anzi col tempo si approfondiscono.

Coloro che ne sono vittime, pertanto, non si libereranno mai dal colpo ricevuto tanto tempo prima. Non soltanto, ma l’evento che ha generato quello stesso trauma verrà elaborato fino al punto da non poterlo più distinguere da sé stessi. Qualche esigua soddisfazione potrà essere offerta soltanto dalla rappresentazione artistica.

Senza alcun dubbio, un artista di questa stregua è Edvard Munch. Nel corso di tutta la sua lunga e prolifica opera, il grande pittore norvegese non ha mai smesso di dipingere i traumi che la vita, fin dalla più tenera età, gli aveva inferto nell’anima.

Se ci si pone all’interno di questo contesto, si può ben comprendere allora che cosa potesse significare quella frase terribile scritta da Munch che tutti ricordano: “Io vivo con i morti”.

Sì, Munch viveva con i morti, ossia la sua esistenza era compenetrata strettamente con le immagini di coloro che aveva amato e che se n’erano andati, lasciandolo solo a guardare nell’abisso del vuoto e dell’angoscia che da tale vuoto emergeva.

Come rappresentarla dunque quell’angoscia? Il sollievo dato dall’arte aveva guidato la sua mano fino a fargli dar vita alla rappresentazione d’un urlo lancinante.

Un urlo assordante: “L’urlo”, non per caso una delle icone della pittura moderna.

Edvard Munch, “L’urlo”, dal web

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