DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN
Un’esistenza errante, quella di Marc Chagall, a tratti costretta da un vituperato esilio, in parte destinata a dimostrare come, per certi versi, effettivamente non tutto il male venga per nuocere.
L’incostante sudditanza ad una serie di spostamenti compulsivamente obbligati, tuttavia foriera di quella straordinaria evoluzione perennemente determinata da circostanze in continuo divenire.
Un potenziale Chagall confinato all’amata Vitebsk, non avrebbe prodotto le successive, continue rievocazioni di un passato mai superato o dimenticato, al contrario preziosa fonte di ispirazione nella rilettura di dimensioni e atmosfere nuove e innovative.
Il felice raggiungimento di uno scopo del quale non era nemmeno previsto il raggiungimento, profetizzando in pittura un ‘andare molto più interessante che arrivare’, in seguito declinato dagli U2.
‘I veri viaggiatori partono per partire; cuori leggeri, s’allontanano come palloni, al loro destino mai cercano di sfuggire, e, senza sapere perché, sempre dicono: Andiamo! – Charles Baudelaire.
I fiori del male, il viaggio; un desiderio di libertà correlato al concreto auspicio di un’anelata evasione, che Chagall riesce a vivere senza averla programmata, e nemmeno averla desiderata, suo malgrado infine beneficiato da quegli inaspettati stimoli predestinati a rivelarsi linfa vitale di ogni artista e delle sue ipotetiche, geniali, esuberanze creative.
‘Ringrazio il destino per avermi condotto sulle sponde del Mediterraneo’.
Così si esprime Marc Chagall nel 1949, in seguito al trasferimento dagli Stati Uniti alla Francia, quando trova in Saint-Paul de Vence l’approdo che fino a quel momento non si era nemmeno reso conto di aver cercato.
L’incredibile Costa Azzurra dell’epoca, tuttora menzionata in relazione alla presenza di un vero e proprio circolo artistico diffuso e dominante, dove non era raro incontrare Matisse e Picasso, che a Chagall dona quella relativa tranquillità così lontana da un prima, la cui unica, sconosciuta funzione era stata quella di preparare un dopo.
E Lunaria, che l’artista realizza nel 1967, coglie l’inconsueta, tranquilla routine di una calma in grado, da ultimo, di farsi apprezzare.
Un dipinto tutto sommato diverso, in cui Chagall riversa la pacifica consapevolezza di un traguardo da assaporare, che pur non coincidendo con una conclusione – le esistenze degli artisti non si concludono: semplicemente evolvono, fino alla fine – ammette la fissazione di un eventuale punto fermo.
Temporaneamente accantonati i simbolismi aneddotici, compare la quieta immagine di una visione puramente floreale, gioioso tripudio in esplosione di colori, la cui unica ‘follia’ evasiva si limita alla presenza della cristallina finestra: quella di Chagall, difficilmente si potrebbe definire una natura morta, poiché non vi è nulla di più vivo da descrivere.
I suoi fiori non giacciono fissi e recisi in un vaso decorativo, al contrario dialogano e raccontano la propria presenza in una serie di linee e tocchi assortiti e arabescati, luminosamente liberi in un festoso gioco che prescinde da realtà e prospettiva.
E per farlo, Chagall, non si affida ad una pianta qualunque, ma sceglie la lunaria, tradizionalmente utilizzata, secondo credenze anglosassoni, in occasione di magici rituali ed incantesimi, data la similarità dei frutti a monete d’argento – da qui la consuetudine di definire questi ultimi Monete del Papa o Medaglie di Giuda, rievocando l’episodio evangelico dei trenta denari – che tuttora donano la loro incredibile luminescenza a composizioni di fiori secchi.
In Romagna non era raro, da bambini, essere reclutati a sfogliare i suddetti frutti, in modo da farne emergere la parte argentea sottostante, e così contribuire alle guarnizioni floreali comunemente presenti in ambito salottiero.
E se i tedeschi, come ricordato nel blog Il coraggio delle donne, la chiamano Silberblatt, letteralmente ‘foglia d’argento’ secondo una denominazione corrispondente alla forma presente, in italiano si preferisce il termine Lunaria, il quale opportunamente ricorda il colore della luna soprattutto in alcune notti stellate, senza dimenticare la preziosa tonalità indaco dei fiori, riconducibili al colore del tramonto precedente le notti di luna piena.
Non è escluso, però, abbiano avuto ragione gli inglesi, ribattezzandola honesty, a rimembrare onestà e chiarezza, sempre e in ogni circostanza: qualcuno dice ‘anche quando si ha la luna’, mentre altri approfittano del suddetto dettaglio, per converso, per ribadirne l’intrinseca volubilità…
Marc Chagall (1887-1985), Lunnik (Lunaria), 1967, olio su tela, 100×80.9 cm., Collezione privata
Immagine: web
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