Mario Tozzi, Mattutino

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Mario Tozzi, omonimo del più conosciuto geologo, nasce a Fossombrone alla fine dell’Ottocento, per intraprendere subito, causa continui spostamenti, un’esistenza decisamente girovaga.

Il padre, infatti, medico appassionato di letteratura, decide di stabilirsi assieme a tutta la famiglia – Mario è il primo di cinque figli, di cui due moriranno nel primo conflitto mondiale – sul Lago Maggiore.

L’artista è ancora un bambino, e già palesa un interesse notevole per la pittura, quando una cugina di Guglielmo Marconi, miss Daisy Prescot, probabilmente affascinata da tale precoce passione, gli regala una scatola di colori ad olio che lo lasciano letteralmente incantato.

Comprendendo immediatamente la propria futura strada, nel giro di qualche tempo si reca a studiare a Bologna, ove conosce alcuni dei più importanti artisti dell’epoca.

Dopo la partecipazione alla Prima Guerra Mondiale – viene congedato nel 1929 – Tozzi sposa una ragazza francese e si stabilisce in quel di Parigi, e sarà proprio la Ville Lumière a decretarne il successo: le sue opere plastiche e lineari, precise ed essenziali, conquistano la critica d’oltralpe, ed ottiene in tal modo la possibilità di partecipare a prestigiose esposizioni, nonché di conquistare importanti riconoscimenti, tanto che nel 1936, una volta rientrato in Italia, a Roma, esporrà alla Biennale.

La timidezza che ne contraddistingue il carattere lo porta a vivere tendenzialmente isolato dall’ambiente artistico, anche se ciò non gli impedisce di fondare Le Groupe de Sept, definito anche Les Italiens del Paris, cui appartengono Campigli, De Chirico, De Pisis, Paresce, Savinio e Severini.

Un gruppo il cui tratto distintivo, secondo Renato Barilli, consiste in uno spirito archeologico ostentato, e riferendosi alla figura di Mario Tozzi riscontra la categoria dell’iperrealismo lenticolare, attraverso un’arte a tratti schematica e stereotipata.

Gravi problemi di salute determineranno una lunga interruzione alla sua carriera, che comunque riprenderà negli ultimi anni della sua vita, peraltro conseguentemente al raggiungimento di una significativa maturità artistica.

L’ opera riportata, del 1927, lo testimonia – caratterizzata da una forte monumentalità legata sia a volumi geometrici imponenti che a citazioni definite solenni e misteriose, testimonianza di una antica espressività; a proposito di quest’ultimo punto, scrive alcuni articoli in cui approfondisce il proprio ideale di artista con la funzione di rappresentante nel mondo.

La tecnica pittorica raggiunge vette elevate e sempre più raffinate, dove prospettiva e composizione dei dipinti mostrano un mondo grandioso, immobile, a tratti metafisico.

Mentre gli oggetti vengono raffigurati sfruttando suggestive posizioni ed architetture, Mario Tozzi si dichiara prevalentemente amante di volti e sembianze femminili, e sfruttando il suddetto tema, obiettivamente favorito, ne pubblica una splendida serie su fondo bianco…

Mario Tozzi 1895 – 1979
Mattutino (Rêverie matinale) (1927)
Olio su tela (166 x 118 cm)
Milano – Museo del 900

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