«My octopus teacher» un film eccezionale che è puro cinema

DI GIOVANNI BOGANI

Ne avevo letto. C’era un documentario su una piovra che era bellissimo, e candidato all’Oscar. Beh, avevo la sensazione che potesse essere vero. Ma non capivo come fosse possibile.

Un film su un uomo che fa amicizia con una piovra. Ecco quello che avevo capito. E mi sembrava assurdo che potesse essere un film, e che quel film potesse essere bello, appassionante, emozionante.

Beh, ieri sera l’ho visto.

E di film ne ho visti, nella vita. Più di diecimila. Classici della storia del cinema e film che hanno vinto i premi ai festival, ho visto L’arrivo del treno alla stazione, il primo film della storia, e ho visto La febbre del sabato sera.

Ma un film così non l’avevo mai visto. Non so a che cosa somiglia. Non somiglia a nessuno dei documentari, pur belli, girati sott’acqua.

Assomiglia, semmai, a una storia d’amore. E a un racconto filosofico su che cosa è la vita. La vita, tutta. Non la vita umana.

È un film di una cura tecnica pazzesca, che ti insegna prima di tutto che devi usare le migliori lenti possibili, che devi provare a fare la migliore inquadratura possibile. Perché tutto il film si compone di inquadrature straordinarie.

Anche se sono su un dettaglio del volto di un uomo, sui suoi occhiali. O sui piedi di quest’uomo che sta per andare a tuffarsi nell’oceano, in un posto sottomarino pieno di alghe, una specie di foresta sotterranea. Piena di pesci, di granchi, di aragoste, di meduse, di piccoli squali. E di piovre.

L’autore del documentario, che è anche l’uomo che si immerge, beh – è difficile spiegarlo – inizia a fare amicizia con una piovra. In un posto allucinante, che sembra un altro pianeta, che sembra un luogo di fantascienza, con animali dalle forme fantastiche. Lui si lascia incuriosire da una piovra, e la piovra è curiosa di lui.

Segue il racconto di un anno di immersioni, di immagini coloratissime. C’è il racconto del mondo naturalmente violento dei fondali. E c’è il racconto quasi impossibile dell’incontro fra l’uomo e la piovra.

La diffidenza, poi lentamente l’instaurarsi di una fiducia fra due esseri viventi. Una creatura che ha i tentacoli come lunghe dita. E che stende quelle dita per toccare l’uomo.

Una piovra che guarda l’uomo, nascondendosi con una grande alga tutto il resto del corpo, e lasciando scoperto solo un occhio.

E mille altre cose, che vale la pena vedere, e non raccontare.

Che cosa si impara? Che una delle regole più dure da seguire è lasciare che la natura faccia il suo corso. Non interferire. Persino quando non interferire può essere doloroso. Quando occorre lasciare che la piovra sia attaccata, ferita, magari anche uccisa.

E si impara che in un momento, la piovra fa una cosa che non è dettata dal principio della sopravvivenza. Allunga i tentacoli per fare scappare un branco di pesciolini. E non li caccia. Vuole solo vederli muovere. Sta giocando con i pesci.

Un mollusco che gioca con i pesci. E che, poi, si accoccola al corpo dell’uomo, come se fosse felice, come se non dovesse chiedere altro alla vita, in quel momento.

Cose che sembrano impossibili. E che invece vedi accadere in un film.

In un film che è puro cinema, cinema di immagini e suoni, di colori e movimenti. Insomma, ho visto un film eccezionale. E non avrei mai immaginato che, nella mia vita, avrei visto qualcosa di simile.

Se non l’avete ancora visto, correte. E’ su Netflix.

Immagine tratta dal web

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